Lo ricordo come se fosse ieri: gli strani umanoidi bianchi e neri dell’ingresso con frontone bianco a piramide, i muri interni dove non potevi taggare ma taggavi lo stesso, i colori delle tele, delle sculture e degli sticker che inondavano gli spazi intonsi del Pac, il suono del piombino nelle bombolette nascoste nella borsa a tracolla. Era il 2007 e “Street Art Sweet Art. Dalla cultura hip hop alla generazione pop up”, la mostra ideata dall’allora assessora alla Cultura di Milano Vittorio Sgarbi e curata da Alessandro Riva, segnava un punto di svolta per me e per tutti i miei (quasi) coetanei con cui condividevo una nuova estetica, un nuovo modo di pensare l’arte urbana, un nuovo mondo di artisti: quello della Street Art.
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Street Art Sweet Art
Sulla facciata grigia di uno degli edifici abbandonati delle ex officine Casaralta spicca il disegno di un braccio in alto che stringe un tassello tra le dita. Pochi metri più indietro appare “Test”, tanti uomini senza volto in cammino. Sono gli ultimi graffiti di Blu che resistono a Bologna: sono lì dal 2006, e sono gli unici sopravvissuti alla grande cancellazione del 12 marzo.