Sulla facciata grigia di uno degli edifici abbandonati delle ex officine Casaralta spicca il disegno di un braccio in alto che stringe un tassello tra le dita. Pochi metri più indietro appare “Test”, tanti uomini senza volto in cammino. Sono gli ultimi graffiti di Blu che resistono a Bologna: sono lì dal 2006, e sono gli unici sopravvissuti alla grande cancellazione del 12 marzo.
A un mese esatto da quel fatto, risposta dell’artista alla mostra “Street Art Banksy & Co.”, ho posto qualche domanda ad Atomo, pietra miliare nella storia del movimento a Milano e ideatore, tra gli altri, del recente progetto Energy Box.
Credi che Blu abbia fatto bene a cancellare, un mese fa, le sue opere?
Blu ha fatto un gesto estremo di rottura, quasi punk, con il quale mi trovo d’accordo. La legge del mercato non può avere la meglio su un sentimento: come tutti gli street artist, anche Blu lavora perché la sua arte sia pubblica e fruibile per tutti. Poi arriva uno che decide di appropriarsi di quell’opera, e rompe quel principio in modo illecito.
Eppure c’è chi sostiene che Blu abbia fatto prevalere la sua volontà sul concetto di “bene pubblico”..
È stato così perché ha dovuto vedersela con poteri forti e organizzati. Il suo è stato un gesto estremo: ha fatto harakiri, ha sacrificato le sue opere perché il suo fosse un messaggio di impatto. Ed è stato così, perché in questi giorni ne parlano davvero tutti. Se non fosse stato un gesto estremo sarebbe rimasta una cosa per pochi addetti.
È mai successo qualcosa di simile a Milano?
No, sono successi solo piccoli episodi di furto. Il caso più eclatante è stato quello della cabina elettrica disegnata da AliCè di cui è stato trafugato uno sportello. Ma nulla a che vedere con quello che è stato fatto a Blu.
Se fosse successo a te, avresti mai fatto quello che ha fatto Blu?
In effetti non ci ho mai pensato, ma se l’unico modo per gridare al mondo il proprio sdegno, sono abbastanza punk da convincermi a farlo.
Come valuti la mostra “Street Art Banksy & Co”?
Hanno tappezzato anche Milano dei loro manifesti che mi fanno ridere: stanno sbattendo in bella vista il nome di Blu con arroganza. L’unica cosa che mi auguro è che almeno noi artisti la boicotteremo. Ieri sui social i commenti sono stati talmente tanti che mi auguro che a nessuno venga in mente di privatizzare ancora una volta l’arte pubblica.
Molti artisti, Blu compreso, vendono le proprie opere in tutto il mondo: come se ne esce?
Perché, un artista non può vendere una sua opera? E come fa a campare? Ma attenzione, quella della vendita deve essere una scelta sua, nell’abito di un mercato, non sulla strada. Quando uno street artist regala una sua opera al quartiere questa rimane di tutti e nessuno se ne devo impossessare.
Cosa ne pensi dell’uso che si fa della street art come strumento per la rigenerazione urbana?
La street art è un’arma micidiale, ma anche bellissima e molto spendibile, che vive una dicotomia pazzesca: da una parte viene bandita e repressa, ma dall’altra viene usata come banderuola per le amministrazioni che vogliono mettersi delle stelline al petto. Spazi pubblici che avrebbero la funzione di farla conoscere e di portarla nei luoghi dedicati all’arte non vengono mai concessi e quando viene fatto si arriva alle aberrazioni di Bologna.
Pensi che la musealizzazione dell’arte pubblica sia lecita?
Tutto il mondo ha opere di arte contemporanea e cerca di acquisirle per metterle nei musei, ma un conto è acquisirle, un conto è rubarle. Non si decide di musealizzare per farsi pubblicità, ma con l’intento di valorizzare un’opera, con un progetto lecito e trasparente.
Come si può preservare l’arte pubblica senza per forza metterla in un museo?
Posto che la street art è un’arte effimera e spesso illegale, qualora ci siano opere d’arte tali da ritenerne importate l’ingresso in un museo lo si deve fare seguendo un percorso lecito e riconosciuto dalla comunità degli artisti. Tra questi la fotografia è uno dei modi migliori.
Il 2017 sarà il decennale della mostra “Street Art Sweet Art”, dove il segno di Blu è ancora ben visibile sulla facciata del Pac di Milano: non incapperete nello stesso errore di Bologna?
Siamo sotto elezioni e io assieme a tutti gli artisti del 2007 chiediamo al futuro sindaco di Milano di mettere a disposizione il Pac o una struttura pubblica e significativa come il Padiglione d’arte contemporanea per celebrare i dieci anni della mostra e fare un lavoro ben costruito, non come quello di Bologna.