Apre “IN MY NAME. Above the show”, prima a Treviso e poi a Monopoli. L’intervista ai curatori e al direttore artistico Made514

di Clara Amodeo

Non solo un evento ma anche una grande mostra internazionale che celebra la storia e traccia l’evoluzione dell’Urban Art, guardando con interesse al suo futuro. Questo (e molto altro ancora) è “IN MY NAME. Above the show”, da oggi e fino al 30 giugno in scena a Treviso (presso il complesso industriale rigenerato delle ex Ceramiche Pagnossin) e dal 19 luglio al 3 novembre 2024 a Monopoli, in provincia di Bari (negli spazi dell’Ex Deposito militare Carburanti). Curata da Martina Cavallarin e Antonio Caruso, con la direzione artistica di MADE514 e il coordinamento culturale e scientifico di Christian Leo Comis, la mostra vuole fare il punto sullo stato dell’Urban Art mettendo al centro le opere degli artisti che sono sono veri e propri simboli (se non, in alcuni casi, anche pionieri) di questa disciplina: Boost, Cento Canesio, Dado, Etnik, Giorgio Bartocci, Hemo, Joys, Macs, Made514, Peeta, Proembrion, Satone, Sosa, V3RBO, Vesod, Won ABC, Zed1. 

Non “solo” 17 artisti, ma anche 155 fra tele e disegni, 2 opere in Virtual Reality, 18 tra sculture e installazioni, 5 video installazioni e proiezioni, più di 4000 mq di spazi espositivi tra Treviso e Monopoli, 23 eventi collaterali, 5 performance live, 1 contest per videomaker, 2 bookshop con innumerevoli stampe, multipli ed edizioni limitate, 1 catalogo e 159 giorni di esposizione. Il tutto negli spazi scenografici delle ex Ceramiche Pagnossin e dell’Ex Deposito militare Carburanti, intrisi della memoria storica industriale del Novecento: un vero e proprio palcoscenico partecipato e condiviso sul quale le opere dialogano con un ricco calendario eventi fatto, come accennato, di performance, azioni time specific, discipline urbane come parkour, bike e skate.

Con così tanta carne al fuoco non ho potuto che fare due chiacchiere con le persone che hanno reso possibile la mostra evento: i curatori, Martina Cavallarin e Antonio Caruso, e il direttore artistico, Made514.

Martina Cavallarin e Antonio Caruso 

Da quale necessità nasce la mostra “In my name”?

“IN MY NAME. Above the show” nasce dalla necessità di far conoscere al pubblico lo stato generale dell’Arte Urbana oggi: oltre i muri, dunque, anche le opere e le ricerca dei grandi rami germinali di questa disciplina che si esprimono attraverso opere multidisciplinari dai linguaggi più variegati.

Dunque, a che punto dello stato dell’Arte (Urbana) ci troviamo nel 2024, a oltre 50 anni dalla nascita di quella cultura che fece germinare il Writing?

Da forma più spontanea e illegale delle origini, oggi l’Arte Urbana viene commissionata dalle grandi amministrazioni. Ma attenzione: gli urban artist, pur lavorando su commissione, cedono ancora poco a compromessi, perché arrivare al decoro urbano e al didascalico è facile ma la cultura è un’arma che va maneggiata con forza. Credo che l’obiettivo sia quello di educare le persone a un livello di ricerca più approfondito e di opere di alta qualità anche se apparentemente meno semplici.

Come mai avete scelto questo titolo?

Il titolo “IN MY NAME” deriva dalla tag (oltre che dai primi sticker che, apparsi per la prima volta negli anni Cinquanta e Sessanta nelle riunioni di lavoro aziendali e nei gruppi di sostegno, si sono rivelati strumenti interessanti per i primi taggers americani). Qui il concetto di “IN MY NAME” viene tradotto come manifestare la propria ricerca oltre i muri attraverso il proprio nome: lo faccio nel mio nome, a mio nome, con il mio nome. “Above the show”, invece, è la possibilità di vedere al di sopra di come le cose vengono. 

Chi arriverà alla mostra cosa deve aspettarsi?

Chi arriva alla mostra deve aspettarsi delle opere costruite apposta per l’evento: lavori e lastre a parete, tele a dipinti, videoproiezioni, installazioni, realtà virtuali, lavori espressi con materiali più disparati, l’allestimento stesso va dal museale all’urban tout court. Inoltre, tutto quello che viene esposto a Treviso si sposterà anche a Monopoli, ma a questo si aggiungeranno anche gli output di performance e live painting realizzati, come eventi collaterali alla mostra, da alcuni artisti in mostra, al fine di dare vita a un’esposizione che è un continuo work in progress. Questi prodotti, infatti, resteranno nella storia espositiva di “IN MY NAME” per tutto il tempo.

La scelta degli spazi in cui si terrà la mostra è legata al senso stesso della mostra? Se sì, come?

La scelta degli spazi è una scelta che è nelle corde dell’Urban Art: spazi di archeologia industriale del Novecento rigenerata da un punto di vista artistico e riqualificata da quello sociale. Al contempo, avevamo bisogno di spazi grandi per ospitare i molti visitatori che avremo, e che speriamo che in queste ampie volumetrie possano continuamente perdersi e ritrovarsi.

Made514

Non ci sono donne in mostra: c’è un motivo per questa scelta?

Di base questa mostra porta artisti che hanno un percorso di almeno 30 anni, che vuole dire che hanno iniziato 30 anni fa quando questo tipo di attività non era così diffusa tra le donne. Questo è il principio che mi ha mosso, questo è stato il criterio.

Lo chiedo anche a te: a che punto dello stato dell’Arte (Urbana) ci troviamo nel 2024, a oltre 50 anni dalla nascita di quella cultura che fece germinare il Writing?

In questo momento c’è una vera e propria esplosione di questo tipo di arte, sia dal punto di vista della fruizione sia da quello di mercato. Pertanto, essendosi aperta questa breccia, è arrivata molta più gente, più o meno artisticamente preparata, e con l’aumentare degli artisti oggi si possono trovare tanti artisti buoni ma anche tanti artisti meno buoni (e con meno buoni intendo con una ricerca poco approfondita, legata solo all’aspetto commerciale, come spesso accade). Eppure, devo riconoscere che per chi fa ricerca è un momento molto interessante perché si stanno aprendo una serie di visioni nuove e di ricerche di studio legate alla disciplina, alla tecnica, alla metodica, alle nuove tecnologie che fanno parte dell’evoluzione dell’arte in questo momento. Insomma, è un terreno molto florido, soprattutto laddove si opera in maniera distaccata dalla mera commercializzazione.

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