La cultura può farsi carico della memoria storica e di un patrimonio che dovrebbe essere sfruttato e utilizzato? No. La cultura deve farsi carico di tutto ciò. La cosa buffa è che quasi mai questo succede, almeno non nella “città emersa”. Parlo da milanese, quindi da persona il cui sguardo è viziato da una città che ragiona con logiche tutte sue, ma qui sempre meno sono gli esempi di una cultura che, dal caldo del suo sistema, esca là fuori e si sporchi le mani per fare un’operazione veramente radicale nel senso della riappropriazione e della restituzione, con l’obiettivo di comunicare educando. La cosa buffa è che sempre più spesso questo tipo di operazioni, dal portato dirompente, sono lasciate alla “città sommersa”, popolata da singoli o associazioni che, forti solo della loro buona volontà, facendosi il doppio del mazzo (e ricevendo in cambio ben poco, in termini economici, quando non addirittura aperta ostilità), arrivano là dove il sistema non arriva.
Sarà anche per questo che uno degli ultimi progetti di Collettivo FX assieme al curatore friulano Enrico “Carne” Tuzzi, realizzato ancora a ottobre 2023, mi ha così colpita. Una mostra, composta da diciannove disegni per i diciannove gol realizzati da Italia e Jugoslavia negli incontri ufficiali di calcio tra il 1954 e il 1981, allestita in maniera spontanea e autonoma sul confine tra Jamiano (Gorizia) e Brestovizza (Slovenia), negli edifici doganali italiani dismessi ad inizi anni Novanta. Una mostra che non poteva non avere il titolo di “Confine” e che cela al suo interno una serie stratificata di significati e messaggi.
“Durante un soggiorno in Friuli – mi racconta Collettivo FX – assieme a Enrico “Carne” Tuzzi ci siamo spinti al confine della Venezia Giulia e solo qui mi sono reso conto quanto questa terra abbia vissuto, nel tempo, una storia di confine (molti passaggi di imperi, la cortina di ferro, poi la Slovenia e adesso l’Europa) poco raccontata. Unica traccia, seppur recente, di questo passato di crocevia, è l’immenso patrimonio immobiliare di ex dogane italiane e slovene, piccole o grandi, che oggi giacciono abbandonate sui confini. “Dobbiamo fare qualcosa”, ci siamo detti con Enrico. E così abbiamo agito. Ho iniziato io facendo i disegni dei diciannove gol realizzati da Italia e Jugoslavia negli incontri ufficiali di calcio durante il periodo sovietico: Zebec, Vukas, Zoff, Riva e Bettega, tra gli altri, tutti dipinti e incorniciati come si confà alle opere d’arte. La curatela è stata invece opera di Enrico “Carne” Tuzzi, il quale ha scelto come percorso espositivo quello gentilmente offerto dallo stato sloveno all’interno di una di queste ex dogane”.
Una mostra spontanea, non autorizzata, dal basso, destinata all’autodistruzione, che da sola è però riuscita a raccontare, tramite l’espediente del calcio, tifi e contrapposizioni, ma anche spirito sportivo e connessioni tra due terre, delimitate “solo” da un confine politico per così tanto tempo, senza che quasi nessuno (abitanti esclusi) se ne rendesse conto. “C’è un aspetto che abbiamo condiviso – mi ha detto ancora Collettivo FX – ossia che la cultura si deve prendere la responsabilità di raccontare un pezzo di storia sconosciuta ai più e che, per farlo, si deve muovere autonomamente. Nell’edificio in cui abbiamo allestito l’esposizione ci sono ancora le mitragliate degli anni Novanta: come fa il mondo della cultura a ignorare una cosa del genere? Fare il proprio mestiere, di artista soprattutto, significa anche fare queste cose”.
Sì, perché poi “queste cose” sortiscono il loro effetto: nei tempi a venire, infatti, i giornali locali hanno iniziato a parlarne e, con loro, anche le persone. “I vecchietti dei tempi di Tito andavano a visitare la nostra mostra per rivedersi i gol e questa cosa ci è piaciuta molto. Nel frattempo, poi, ne ho parlato anche con Jens Besser, artista di Dresda, e tXt, artista di Melbourne, che hanno raccolto la nostra sfida e oggi espongono anche loro nella stessa ex dogana slovena ottobre, eletta dagli abitanti locali a spazio espositivo di riferimento”.
“Boundary X” è infatti, oggi, una bipersonale che, ancora una volta, affronta il tema del confine, ma in modo diverso: Besser ha lavorato su un’installazione di 12 disegni creando dei passaporti/maschere che danno un significato iconico (e ironico) al documento di identità. L’artista australiano invece ha recuperato vecchie foto di famiglia dell’epoca in cui il confine con la Jugoslavia ancora esisteva e quel luogo (la caserma) era ancora in funzione, esponendole con un intervento minimale. Chi sarà il prossimo che vorrà creare iniziative culturali spontanee finalizzate a valorizzare non solo il lavoro degli artisti ma anche luoghi che hanno un valore storico importantissimo? Sotto a chi tocca.