Il restauro dell’opera di Blu al Woodpecker di Milano Marittima

di Clara Amodeo

Ricordo ancora bene la meraviglia che mi prese quando vidi non solo l’opera di Blu al Woodpecker di Milano Marittima ma anche il contesto in cui era stata realizzata: la strada assolata e polverosa per arrivarci, il passaggio in mezzo ai rovi, le scale che scendevano alla pozza d’acqua melmosa e pienissima di zanzare; e poi la cupola, maestosa e fresca, sotto cui trovare ristoro e ammirare quel tratto così ben riconoscibile, quell’operazione site specific carica di rabbia e contestazione. Era la prima volta che vedevo un’opera di Blu in un contesto che non fosse “normalizzato” (il POP UP Festival ad Ancona, il R.I.P. Arte Festival di Fabriano, il fronte del PAC a Milano, il Draw The Line a Campobasso o qualche centro sociale/casa occupata tra il Nord e il Centro Italia).

Merito di Elena Astolfi che, amica e restauratrice del contemporaneo (suo e di Alessandra Carrieri l’intervento conservativo a Quattordio), un giorno della primavera del 2020 mi aveva scritto: “Dobbiamo andare a Milano Marittima. C’è una cosa che devi assolutamente vedere, ma non devi dirlo a nessuno”. In quell’occasione conobbi anche Chiara Fabbri, anche lei amica e (all’epoca) aspirante restauratrice: fu proprio con loro che andai alla scoperta di quell’opera meravigliosa e fu sempre con loro che, nei tempi a venire, parlai molto di quello che avrebbero combinato qualche mese dopo: il restauro dell’opera di Blu al Woodpecker di Milano Marittima.

Grazie a Elena (e, con lei, anche al gruppo del progetto CAPuS conservation of art in public spaces/ con cui ho dialogato e collaborato) avevo già qualche strumento e chiave di lettura, ma quella di Milano Marittima era un’operazione troppo ghiotta per non approfondirla, dissezionarla, scrutarla, ricostruirla. Ho provato, dunque, a ripercorrere quasi tre anni di chiacchierate e confronti in questa intervista a tre voci, cui hanno partecipato le stesse Elena Astolfi e Chiara Fabbri assieme a Roberto Bestetti, terzo membro del team che si è occupato del restauro.

Ph. Elena Astolfi-Roberto Bestetti-Chiara Fabbri

Come siete venuti a conoscenza dell’opera di Blu al Woodpecker di Milano Marittima?

Chiara: Studiavo all’Aldo Galli e dovevo preparare l’esame di restauro contemporaneo, presentando un progetto per un ipotetico restauro. Sapevo dell’opera di Blu perché sono della zona, qui tutti la conoscono ma io non l’avevo mai vista e così, con questa scusa, sono andata a visitarla. Quando sono arrivata l’area era stata transennata da una ditta che ci stava facendo dei lavori di ristrutturazione, quindi ho chiamato il numero sul cartello e ho preso appuntamento per fare un sopralluogo e delle foto. Quando ho conosciuto il titolare dell’impresa, poi, è stato lui a chiedermi se mi andasse di restaurare l’opera, anche perché il locale era stato assegnato tramite il bando comunale “50 luoghi da rigenerare” (tra cui compariva anche il Woodpecker) che specificava che l’opera andava restaurata e conservata.

Qual è la storia dell’opera e dell’edificio/sito su cui essa insiste?

Roberto: Abbiamo fatto molte ricerche, abbiamo avuto informazioni da diverse persone e siamo giunti alla conclusione che la storia dell’edificio è più o meno questa: il locale è stato inaugurato nel 1968 su idea dell’architetto Filippo Monti che aveva pensato di creare una pista da ballo sull’acqua con tanto di coccodrilli al suo interno, riprendono così il tema degli specchi d’acqua delle saline di Milano Marittima. La pista era stata rivestita in marmo giallo di Siena, e, sopra di lei, era stata installata la cupola, ancora visibile in vetroresina. Negli anni a venire, a causa di un incendio, il locale è stato abbandonato e, complice una struttura interessante e unica, il posto è diventato meta di curiosi e di gente locale, oltre che luogo di occupazioni, concerti, rave. Ed è proprio durante la Due Giorni parallela all’occupazione di Al Confino, a opera del collettivo Contrasto, che Blu ha dipinto a modo suo il senso di quell’occupazione, realizzando un’opera dell’intradosso della cupola. Tale dipinto non è presente in “Minima Muralia”, la raccolta dei lavori di Blu, ma l’attribuzione, fatta sulla base della rete di Contrasto e della comunità locale, è del 2007.

Ph. Elena Astolfi-Roberto Bestetti-Chiara Fabbri

C’è una lettura dell’opera?

Tutti: Noi non l’abbiamo fatta. Tuttavia, è possibile vedere alcuni mostri che mangiano degli uomini diplomatici, i colletti bianchi. C’è da dire che quando il locale ha inaugurato era frequentato da una clientela d’elite e, col fatto che l’opera è stata realizzata in occasione di un’occupazione, la lettura potrebbe essere quella di una critica a tutto quel sistema che frequentava il luogo quando la struttura era ancora accessibile. Non mancano poi i coccodrilli, che sono un chiaro riferimento al luogo e che rendono l’opera site specific.

Quali sono state le condizioni in cui avete trovato l’opera?

Elena: Da un punto di vista estetico l’opera non presentava tutte le sue parti pur lasciando percepire l’immagine completa, evidente era una forte alterazione cromatica dovuta a un attacco biologico ed a sporco superficiale. Le problematiche principali sono state quelle relative a pulitura e consolidamento: il dipinto si presentava alterato in molte parti con macchie molto estese di verde e nero (funghi) mentre la pellicola pittorica presentava decoesioni diffuse. A questo si aggiungevano anche alcune tag di writer locali e, soprattutto nella parte bassa, scritte legate al fatto che venivano fatti interventi di ristrutturazione che avrebbero cambiato la finalità del luogo (c’era scritto “tenetelo, antipatici”, come a dire “non cancellatelo”, forse qualcuno temeva che durante i lavori di ristrutturazione l’opera fosse cancellata). L’opera e il luogo creavano una sorta di effetto emotivo molto forte.

Elena e Roberto, come siete entrati nel progetto?

Elena: Chiara mi ha contattata dicendomi che il progetto che stava portando avanti nella mia materia, restauro contemporaneo, sarebbe stato l’intervento di restauro all’opera di Blu e chiedeva il supporto mio e di Roberto, suo relatore di tesi. Con la prima indagine per definire il legante della pellicola pittorica, abbiamo contattato Mirella Baldan, diagnosta. Insieme abbiamo quindi pensato di formare un’equipe, coinvolgendo anche Ilaria Saccani (Conservation Scientist del gruppo CAPuS ) e il biologo Matteo Montanari. Al gruppo si sono poi aggiunte alcune studentesse dell’accademia Aldo Galli, che come stagiste hanno fatto l’intervento con noi. Tutte queste persone avevano la stessa nostra idea sul tema della conservazione dell’Arte Urbana.

A tal proposito, come avete deciso di agire da un punto di vista etico/filosofico?

Chiara: vorrei fare una premessa: l’intervento è stato realizzato in un mese ma la progettazione è durata un anno e mezzo circa, periodo durante cui ci sono stati vari passaggi interni e momenti in cui ci siamo chiesti se volessimo davvero intervenire con il restauro o se, invece, volessimo lasciare l’opera così com’era, e se quello che stavamo facendo fosse davvero sostenibile o no. Quando poi abbiamo deciso di intervenire ci siamo confrontati sulle metodologie da usare e sull’etica da applicare, sulla nostra etica. Elena in questo è stata molto utile perché conosce molti artisti, tramite i quali abbiamo cercato di contattare Blu per sapere cosa pensasse della nostra intenzione di intervenire, ma Blu non ci ha mai risposto. Abbiamo consultato una serie di artisti locali e di persone molto vicine a Blu e tutti ci hanno detto che la cosa che spaventa di più gli artisti è che con un restauro si possa compromettere l’originalità dell’opera: quindi, dopo una serie di ragionamenti fatti tra noi e non prima di esserci confrontati con molti professionisti, abbiamo pensato di optare per un restauro conservativo, facendo di fatto pulitura e consolidamento, operazioni che permettono di prolungare la vita dell’opera senza però bloccarla né imbalsamarla, lasciando che l’opera vada incontro a un degrado naturale (che poi è quello che pensiamo possa avere voluto Blu stesso realizzando l’opera su un supporto già degradato). Si è così scelto di non fare ritocco pittorico, non sono state ricostruite le parti mancanti e non sono state coperte le scritte dell’opera, operazioni che, altrimenti, avrebbero compromesso l’originalità della realizzazione.

Elena: Nell’operare ci siamo sempre detti che se ci avessero chiesto cose diverse da quelle che avevamo concordato di fare, noi non le avremmo fatte. Se la nostra committenza, che ci ha tentato più volte, ci avesse chiesto di fare un intervento più estetico, mettendo mano per esempio alla parte del colore, noi ci saremmo rifiutati (e questa clausola l’abbiamo messa nero su bianco proprio per evitare fraintendimenti).

Roberto: Questo lavoro si pone in un limbo perché è un lavoro di Street Art ma anche di pertinenza di un ente pubblico in quanto non il dipinto ma l’edificio è sotto tutela di soprintendenza paesaggistica e architettonica. E, insomma, non potevamo intervenire ma nemmeno non intervenire. Il gestore aveva la necessità di conservare l’opera quindi l’idea era quello di fare un trattamento di conservazione dell’esistente evitando la ricostruzione.

Ph. Elena Astolfi-Roberto Bestetti-Chiara Fabbri

Pertanto, quali sono state le azioni che avete messo in campo da un punto di vista operativo?

Roberto: Abbiamo iniziato con l’analisi, in quanto davamo per scontato che fosse un acrilico ma solo dopo abbiamo scoperto essere un vinilico. Abbiamo quindi fatto il fissaggio del colore in due modalità diverse (uno per le zone dove il colore era sollevato in scaglie e uno per le zone dove il colore appariva pulverulento e decoeso), mentre per le patine biologiche (muschi e alghe), con l’aiuto del biologo, abbiamo fatto un trattamento biocida. La pulitura è stata un po’ più interessante: spugna di lattice naturale a secco e spugna da trucco imbevuta in soluzione acquosa, perché il colore era molto delicato e sull’opera c’erano stati dei tentativi di pulitura non professionale con risultati catastrofici (è per quello che ti ho detto che eravamo in un limbo: il rischio era che se non lo facevamo noi con professionalità e sensibilità, lo faceva qualcun altro in maniera maldestra).

Chiara: Durante questo anno e mezzo di progettazioni ci sono stati momenti in cui io ed Elena, ancora prima di coinvolgere Roberto e tutti gli altri, ci siamo dette di lasciare stare perché non c’erano i presupposti per fare il lavoro che volevamo fare. Forse sarebbe stato più semplice non intervenire, ma poi ci siamo chiesti: cosa sarebbe potuto accadere se non fossimo intervenuti come professionisti, se il lavoro fosse stato affidato, come purtroppo spesso succede a personale non qualificato?

Qual è lo stato in cui oggi versa l’opera?

Elena: Dopo due anni non abbiamo più saputo nulla, né siamo stati invitati all’inaugurazione.

Chiara: Facendo un passo indietro, ci siamo convinti ad intervenire su quest’opera consci delle problematiche che potevano emergere con il restauro soprattutto perché nel bando di assegnazione si faceva riferimento al recupero del luogo come centro di cultura, mostre etc (come abbiamo detto bene nell’articolo per IGIIC di Verona). E questo ci è parso un presupposto fondamentale, che abbiamo sposato partecipando ai lavori con la nostra operazione di restauro. Da quanto mi è stato riferito da persone del territorio, il locale è attualmente attivo come discoteca e da allora non abbiamo notizie dirette.Una cosa che mi ha fatto molto piacere è che, in questi due anni di tempo intercorsi dalla fine dei lavori, molti tra artisti e persone che gravitano attorno al mondo del writing e della street art, mi hanno sempre aggiornata sullo stato di fatto dell’opera. Ecco, quello che mi fa più piacere è che la gente del posto e gli artisti abbiano capito cosa abbiamo fatto e cosa non abbiamo fatto noi, e questo è importante perché noi ci siamo posti degli obiettivi e abbiamo lavorato secondo un’etica molto rigorosa.

Ph. Enrico Resta

Chi sono i professionisti che ci hanno lavorato?

Chiara: Oltre ai nomi già citati, ci è venuto in aiuto anche Marco Miccoli che ci ha mandato un fotografo (Marco Parollo) e un film maker (Maurizio Cinti) e le studentesse (Chiara Bolzoni, Erica Farina, Barbara Bassani, Eleonora Esposito). In più abbiamo coinvolto un lichenologo (Juri Nascimbene) per indagini future che non sono state ancora effettuate e che non sappiamo se saranno fatte (i licheni possono schermare i raggi solari e rallentare il degrado).

A chi potrebbe muovere qualche critica sulla liceità dell’operazione di restauro (di quest’opera così come di qualsiasi altra opera di Arte Urbana nello spazio pubblico), cosa rispondete?

Roberto: provenendo dall’esperienza di CAPuS, parto dal presupposto che è fondamentale considerare l’opera nel suo contesto: solo dopo averlo capito, si può decidere se intervenire o no. Qui, come già detto, eravamo di fronte a un cul de sac per cui non potevamo non intervenire, c’era l’obbligo alla conservazione; d’altro canto, dovevamo farlo nel mondo più rispettoso possibile. E alla fine penso che abbiamo cercato di fare del nostro meglio pur lavorando su due posizioni quasi antitetiche, ma, insomma, il problema ce lo siamo posto. Inoltre occorre considerare che al momento del nostro intervento i lavori erano molto indietro e quasi non c’era traccia di modifiche al luogo, lo spazio, come si vede dalle foto scattate in quel periodo, era fondamentalmente quello, in stato di semi abbandono. Una delle domande che ci potrebbero sorgere spontanee è se abbiamo avuto il consenso di Blu: la risposta è che no, non l’abbiamo avuto, ma l’abbiamo contattato per informarlo, non solo via mail ma anche tramite altri artisti che ci hanno confermato che Blu era stato avvisato. In tutti i modi non solo gli abbiamo detto che saremmo intervenuti ma l’abbiamo anche messo al corrente sul criterio che avremmo seguito. E, insomma, abbiamo pensato che se non fosse stato d’accordo, qualcosa ce l’avrebbe detto.

Esiste una traccia documentativa consultabile per saperne di più sulla vostra operazione?

Roberto: Sì, abbiamo cercato di pubblicare il lavoro su vari canali ma per ora abbiamo solo partecipato all’IGIIC, Gruppo Italiano dell’IIC, che si è riunito all’Accademia di Belle Arti a Verona lo scorso 21 ottobre e di cui sono presenti e pubblicati gli atti del convegno (“Lo stato dell’arte” numero 21). C’è poi una vasta documentazione fotografica e video. Alcune immagini sono in parte confluite nella mostra “RI-EVOLUTION. I GRANDI RIVOLUZIONARI DELL’ARTE ITALIANA dal Futurismo alla Street Art” che si è tenuta al Palazzo della Cultura di Catania.

L’intervento sull’opera di Blu apre diverse prospettive di ragionamento, ad esempio come comportarsi nei confronti della conservazione di un’opera spontanea (che è divenuta parte di un complesso sotto tutela), mettendo le persone coinvolte davanti ai limiti etici, ma anche tecnici, di un intervento di questo tipo.

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