Si chiama “Tempo Perso” il percorso installativo, unico e site specific, che l’artista Gonzalo Borondo ha realizzato alla Tempesta Gallery di Milano: un progetto che stravolge lo spazio di Foro Buonaparte 68 e altera la prospettiva dei visitatori.
Aperta da oggi e fino al primo marzo 2024, la mostra esplora il concetto polisemico di “tempo perso”, invitandoci a riflettere sullo svago, sulla contemplazione del tempo libero e soprattutto sulla liberazione dal passato. Borondo affronta il tema della damnatio memoriae e dell’iconoclastia, mostrando la bellezza feroce che può emergere dalla distruzione. Le opere esposte invitano il pubblico a riflettere su motivi politici e religiosi, e a immaginare un diverso rapporto con la tradizione e l’avvenire.
“Attraverso il corpus di opere che ho scelto per l’esposizione “Tempo Perso” – ha dichiarato l’artista, Gonzalo Borondo – cerco di sfidare il concetto tradizionale di monumento e di esplorare le contraddizioni e le sfide dell’iconoclastia contemporanea. La demolizione di statue e monumenti rappresenta una narrazione storica in evoluzione, una riflessione sulla mutevolezza dei valori e dei modelli nella società moderna. La mostra invita gli spettatori a interrogarsi sul significato dei monumenti, sulla loro validità e sulla necessità di riconsiderare il passato in un contesto più ampio. Attraverso la ri-significazione e la reinterpretazione dei materiali e dei concetti artistici, cerco di aprire un dialogo critico sulla storia, sulla memoria e sul rapporto con il nostro tempo, esplorando nuovi modi di vivere insieme e costruire identità collettive”.
Il complesso rapporto tra arte e memoria, ovvero tra opere e il loro valore simbolico, si confronta con la Storia dalla quale scaturisce una riflessione sulla natura conflittuale del tempo e, contemporaneamente, sulla fatua aspirazione all’eternità. Definita una critica etico-politica del presente stesso, Borondo abbatte i monumenti, condannati a perire, e assiste alla scalata di chi sta per occupare il vuoto temporaneo, un piedistallo che sarà presto nuovamente abitato.
Questi eventi sono rappresentati in una memoria collettiva, che bisogna ricostruire e l’artista per farlo utilizza la sovrapposizione di strati, una serie di reti, come risorsa formale per mettere in scena la profondità degli avvenimenti. Il culmine di questa pratica si concretizza nella monumentale installazione al centro dello spazio progettata con materiali leggeri per permettere a riflessi e ombre di disegnare un ambiente etereo che coinvolge gli spettatori in un’esperienza sensoriale unica.
Ogni area favorisce il potere e la presenza dell’immagine come via per raggiungere una realtà trascendentale. Si cancella allora il tempo, sostituito per un limbo atemporale di immagini, dove gli eventi appartengono a un discorso al di là dei racconti creati in una logica di cause ed effetti. Si tratta appunto di un “Tempo Perso” che ci invita alla contemplazione e soprattutto a superare il passato. Il monumento non era altro che un pretesto per parlare non solo della persistenza del passato nel presente ma anche della poesia che può esserci tra il marasma di panorami che rimangono all’interno della rete di strati sovrapposti.
Le grandi reti sono l’elemento che attira inizialmente l’attenzione del visitatore, sebbene solo dopo appaiono altre immagini, le vere icone, dove i piedistalli diventano altari a quello che potrebbe un domani diventare la nostra “storia”. Questa disposizione stratificata rende inefficace uno sguardo frontale e statico, soltanto nel movimento, e concluso ogni percorso, le opere passano dalla confusione alla lucidità, superando la violenza e il disagio che si impone in un primo momento.
Fondamentali per l’atmosfera della mostra sono anche l’illuminazione e il sound design creato appositamente da Francesco Venturino per ciascuno degli spazi espositivi. Queste corrispondenze accompagnano il percorso dello spettatore, creando due effetti principali: il primo, un forte contrasto cromatico tra il bianco e nero, che predominano nel lavoro pittorico, e le luci calde che bagnano le stanze; il secondo, la gradazione di intensità della luce che si affievolisce finendo nel buio, un effetto rinforzato dalla colonna sonora cangiante di stanza in stanza che contribuisce a creare un ambiente suggestivo e coinvolgente.
“Il concetto polisemico di “tempo perso” che Borondo esplora ci invita a riflettere non solo sulla natura effimera del tempo, ma anche sulla nostra relazione con il passato e il futuro. La mostra offre una profonda esperienza sensoriale, unendo pittura e scultura con musica ed illuminazione in modo immersivo. In un momento in cui l’arte può fungere da ponte tra culture e persone, siamo orgogliosi di sostenere ed esporre progetti come “Tempo Perso”, che incoraggiano la riflessione, la comprensione e l’innovazione.
La galleria rimarrà sempre un luogo aperto all’espressione creativa e alle idee innovative, siamo quindi lieti di condividere questa esperienza con il pubblico milanese e internazionale.” Enrico Angelino ed Elisa Bonzano, Tempesta Gallery.
“Tempo Perso” è un grido che emerge dalle macerie della storia e la circolarità di una fama vana. Borondo sfida il concetto di monumento tradizionale, creando un’opera soggetta ad attivazioni e disattivazioni del suo significato, un antidoto illusorio contro l’oblio.