Apre il 27 ottobre, alla Key Gallery di via Pietro Borsieri 12 a Milano, la mostra personale dell’artista Tilf dal titolo, più che mai evocativo, “Relay”. In mostra, 13 tele dipinte ad acrilico e 8 foto di murales-graffiti, frutto del lavoro dell’artista dal 2010 a oggi.
L’esposizione, curata da Key Gallery con il supporto di Another Scratch In The Wall, racconta l’evoluzione di un artista che, nato nell’alveo del Writing, ha poi unito la sua passione per la produzione in siti abbandonati (e riappropriati) con la realizzazione di opere figurative e oniriche. Le stesse che, nel tempo, Tilf non ha dipinto solo sulle facciate di ex fabbriche abbandonate, di cascine disabitate o di centri sociali autogestiti, ma ha anche riportato con cura e dovizia di particolari, su tela, le stesse che vengono ora esposte alla Key Gallery.
L’esposizione, poi, sarà corredata di un’opera site specific, realizzata dall’artista per l’occasione, per gli amanti del digitale verrà pubblicato online il giorno dell’inaugurazione della mostra un NFT sulla pagina di OpenSea della galleria (https://opensea.io/keygallerymilano). A conclusione della mostra, prevista in data 12 novembre, Tilf si diletterà infine in un live painting di un’opera realizzata sul momento.
TESTO CRITICO (A CURA DI ANOTHER SCRATCH IN THE WALL)
Relay, la trasmissione di Tilf
Osservare un’opera di Tilf equivale a immergersi in un intricato sottobosco di segni grafici e colori, guidati dalla sicurezza del tratto e, insieme, persi in interpretazioni del tutto personali. Alle pennellate nette e monocrome che possono essere percepite come linee non solo di colore ma anche binari di lettura entro cui muovere l’occhio, fanno infatti da contraltare sensazioni tumultuose, che si discostano da quella linearità grafica e che scavano nel profondo del nostro animo, smuovendolo e togliendogli ogni sicurezza. Confusione, inquietudine, tristezza, morte, disagio, ma anche solennità, ritmo, caldo, favola, sogno, sono le parole che affiorano alla nostra mente se cerchiamo di incanalare quelle emozioni per dare loro un’etichetta, un nome.
Sarà perché Tilf, per sua stessa ammissione, usa la sua arte per trasmettersi al mondo con una comunicazione visiva fatta di di immagini tratte proprio dalla sua mente, “che immagazzina ciò che vedo in natura e nella realtà e ci gioco un po’ con la fantasia”. Un approccio personale a ciò che ci circonda, dunque, che Tilf ha costruito nel corso del tempo, arrivando a uno stile tanto riconoscibile grazie a un percorso artistico che, non a caso, nasce nell’alveo del Writing. Le sue linee nere, quelle stesse linee che guidano il nostro occhio nella lettura di una trama sempre più complessa e ampia via via che il nostro sguardo corre sul muro o sulla tela, sembrano proprio essere quegli outline che chiudono le lettere e danno alle macchie di colore che le campiscono una forma finale e definitiva. “Ho iniziato a disegnare con dei miei amici da ragazzini – racconta l’artista – poi, nel 2000, mi sono unito a Blackwan e con lui ho dipinto moltissimo. Mi piacevano i graffiti, le tag, i flop e tutti i disegni sui muri e già nell’infanzia per gioco avevo fatto qualcosa su muro”.
Ma come spesso accade nella vita (tanto più in quella di un artista), i tempi passano e i contenuti si modificano, proprio come lo stile che, inevitabilmente (e necessariamente), evolve. Il Writing diventa per Tilf un trampolino di lancio che proietta l’artista verso una nuova dimensione, seppur ibrida: quella figurativa. “Ho iniziato a modulare un nuovo stile – prosegue l’artista – intorno al 2000, quando mi stavo stancando delle lettere classiche da graffito. Così, piano piano ho inserito altre cose oltre le lettere, come facce e altro. Questo perché era l’unico modo di andare oltre e cercare di inventare una nuova cosa”. Da qui, le immagini oniriche di cui Tilf si fa portatore, che spesso ci veicolano emozioni forti e contrastanti, anche senza volerlo: “Io lo faccio liberamente – ammette, candidamente, l’artista – poi spero che non dia fastidio, anzi che sia una cosa forte e bella da vedere, perché quando uno vede una cosa bella riceve energia positiva”.
A non cambiare nel suo percorso sono, tuttavia, gli strumenti: gli spray, infatti, rimangono una costante della sua produzione, che ora Tilf mixa con le vernici, soprattutto per coprire grandi altezze. Sì, perché le superfici su cui l’artista opera rappresentano un altro grande marchio di fabbrica della sua produzione: le sue realizzazione sono, spesso, di grandi dimensioni, veri e propri intrichi di linee e colori che disegnano animali, vegetali, volti umani e creature oniriche e che si snodano su facciate, pilastri, vetrate, timpani e supporti architettonici. Questi ultimi appartengono, per lo più, a edifici abbandonati e riappropriati, dislocati sia fuori dai centri abitati sia in città ma sempre liberi dai vincoli che la nostra società costituita tende a imporre, specie a chi opera nello spazio pubblico (ma che, per antonomasia, è di tutti). “Sono posti affascinanti – dice l’artista – dove puoi stare tranquillo su un bel muro, anche grande, a disegnare. Ti dimenticavi che fuori c’era un mondo cattivo quando eri in questi posti”.
Ed è per questo che la mostra “Relay” colpisce ancora di più: perché quello che si disvela è un Tilf inedito, alle prese con dimensioni, oltre che con contenuti, più intimi perché più a misura d’uomo. Trasmissibili e, dunque, trasmessi. “Ho scelto questo termine – spiega l’artista – perché la mostra sarà una visione di soggetti ed esseri strani che vogliono comunicare qualcosa a chi guarda: ovviamente i quadri non parlano, ma con la fantasia si può fare tutto”. Quello che Tilf ci consegna (o, meglio, ci trasmette) sono 13 tele dipinte ad acrilico e 8 foto di murales-graffiti, frutto del suo lavoro dal 2010 a oggi: in un viaggio di oltre 13 anni è possibile vedere l’evoluzione dello stile dell’artista, oltre che il gioco ingaggiato sui diversi temi che l’attualità gli ha via via sottoposto. In questo senso, infatti, se il periodo del COVID ha rappresentato un blocco per tanti, per Tilf è invece stato motivo di accelerazione nella produzione: “Ovviamente l’attitudine e il modo di fare è sempre lo stesso – precisa l’artista – solo che la visione del mondo cambia al cambiare del mondo, ora è molto più cupo e inquietante di tredici anni fa”.