Viaggio ad Amburgo con Lapiz, nella storia artistica e sociale della città

di Clara Amodeo

Doveva essere un viaggio non perfettamente rientrante tra i miei highlights. E invece Amburgo ha saputo stupirmi, tra quartieri storici e resistenti, quartieri squattati, hall of fame e un museo pubblico che ha dato spazio a una delle più belle mostre sul Graffiti Writing mai vista fin qui. 

C’era da stupirsi? No. Amburgo ha una storia urbana e urbanistica tutta particolare, legata alla ricostruzione massiva post bellica, che ha fatto intrecciare la politica con la città con le “scritte sui muri”. Al punto che quando, nei primi anni Ottanta, le influenze di stile americane si fecero spazio tra le periferie della città vi trovarono un sostrato già attivo e ricettivo, che esprimeva concetti sociali e politici attraverso veri e propri slogan scritti in interi quartieri che lottavano contro una gentrificazione che forse non si chiamava ancora così. L’aria di Wild Style, Beat Street, Flashdance, con relativi concerti, non fecero altro che soffiare su un fuoco che era già vivo, accedendo una miccia che ebbe un’evoluzione non più politica ma ancora opposta alle sorti legali e costituite della norma.

Nozioni, queste, che ho imparato strada facendo e che ho avuto modo di mettere a fuoco, con grande dovizia di dettagli, nella mostra “EINE STADT WIRD BUNT. Hamburg Graffiti History 1980-1999”, scovata a casissimo mentre rovistavamo tra i depliant di mostre, eventi e locali alla Kunsthalle della città. Una mostra fenomenale, che ha seguito l’evoluzione logica e cronologica del movimento Writing in città attraverso non solo un percorso espositivo dettagliato e approfondito (con tanto di ricostruzione di ambienti quali treni, metropolitane, strade e camerette adolescenziali), ma anche grazie alla messa in mostra di pezzi unici come copertine di dischi e LP, poster di serate, sketch book, bombolette e attrezzi, il tutto sempre, irrimediabilmente digitalizzato (e reso fruibile grazie all’uso di tablet per il pubblico o di video proiezioni di foto d’epoca). 

“EINE STADT WIRD BUNT. Hamburg Graffiti History 1980-1999”

Una mostra, non mi stancherò mai di ripeterlo, perfetta sotto tutti gli aspetti, dotata di spazi per i più piccoli, di una vera e propria app da scaricare per mappare e conoscere la storia dell’evoluzione dell’Hip Hop in città, di percorsi visivi e sonori di approfondimento; ma, su tutto, realizzata non in una galleria privata o presso una fondazione, non in un museo d’arte contemporanea ma al museo della città di Amburgo, il Museum für Hamburgische Geschichte, che racconta la città sotto diversi aspetti, un po’ come farebbe, a Milano, il Museo delle Culture. Una mostra che, per me, è diventata paradigmatica e che vorrebbe rappresentare il punto di partenza per una declinazione italiana di qualcosa che, fino a questo momento, è stato “solo” scritto nero su bianco.

Passata la sbornia da “EINE STADT WIRD BUNT. Hamburg Graffiti History 1980-1999” è però stata la volta di uscire dalle mura del museo e buttarsi a conoscere quello che, oggi, la città offre a nerd dell’Arte Urbana come noi. Inutile dire che là fuori c’era un mondo pronto ad aspettarci. In autonomia abbiamo girato Sankt Pauli, Schanzenviertel, Karolinenviertel e Rote Flora (con relativo parco), scoprendo, grazie all’amico Lapiz, anche OZM, Gängeviertel e un’altra galleria di Arte Urbana (al cui ingresso ho avuto una maxi carrambata col fotografo professionista e amico di lunga data Nicholas Ganz). 

Sankt Pauli

Ma andiamo con ordine. Sankt Pauli è oggi conosciuto come il quartiere a luci rosse della città, ma passeggiando di giorno per le sue strade quello che colpisce è l’affastellamento di opere (dai throw up ai paste up, dai bassorilievi alle tag ai poster) sulle pareti di case vecchissime e abbandonate così come di localini super trendy e alla moda in cui scattare foto instagrammabili per pagine super markettare. L’odore della gentrificazione, qui, è forte ed è un vero peccato, dal momento che il quartiere ha dato i natali all’omonimo club sportivo: una polisportiva che ha vissuto rari, rarissimi momenti di gloria ma che, nel tempo, si è trasformato in un cult, in un modello di sport (soprattutto di calcio) differente, politicizzato ma aperto, orientato all’integrazione e alla lotta alle discriminazioni e che regge il suo modello economico sull’azionariato popolare. Almeno finché pubblicità e brand non se ne sono impossessati, piegando alle proprie logiche non solo lo sport ma anche l’intero quartiere.

Rote Flora

A Sternschanze sorge, invece, il Rote Flora, ex teatro occupato dal novembre 1989 e oggi centro sociale autogestito. La sua storia è ricca e articolata (se volete saperne di più vi consiglio caldamente di leggerne qui), oggi, l’edificio offre un luogo di musica, un infoshop, un archivio di movimenti sociali, un bar, un caffè, sale prove e un’officina per la riparazione di biciclette. Dietro al Rote Flora, poi, sorge il Rote Park, con tanto di skate park, cortili interni con muri di privati pittatissimi e maxi edificio per arrampicata che ha ospitato una grande jam powered by Montana Cans visibile ancora oggi, datata 2004 e che offre, soprattutto nella parte bassa dell’edificio, spazi per i writer per dipingere (noi ne abbiamo visto qualcuno all’opera il giorno di Pasquetta).

L’OZM è uno spazio polifunzionale che ospita l’OZM Hammerbrooklyn Exhibit, una galleria unica di 3.500 mq che dà mostra, all’esterno e all’interno dell’edificio, delle gigantesche opere di artisti locali leggendari come DAIM, Loomit, Darco, ArtOne, Oz e molti altri ancora e ospita incontri, dibattiti e visite guidate gratuite per tutto l’anno (tranne che a Pasqua e Pasquetta, che sono stati proprio i giorni in cui l’abbiamo visitata ma solo dall’esterno, essendo rimasta chiusa). 

Gängeviertel

Infine, Gängeviertel: un progetto bellissimo di resistenza e diritto alla città, la cui storia è lunga (ma ancora una volta visionabile qui) portato avanti direttamente da cittadini, associazioni e cooperative contro le logiche (e le aziende) gentrificanti che avevano allungato i tentacoli sul quartiere, abbandonato e mai veramente attenzionato dalla municipalità. Dal 2009, dunque, Gängeviertel è un’isola che vive una vita a sé, un quartiere salvato dal degrado e dalla demolizione e reso un polo per l’arte, la cultura e le discussioni, dotato di studi, appartamenti e progetti sociali. 

Ovviamente, buona parte di questa conoscenza non sarebbe stata possibile senza il necessario aiuto di Lapiz, artista di Amburgo che da tantissimi anni riempie i muri della città con le sue opere (non ultimo il la mostra “Faces of Veddel” che accompagna la riprogettazione della stazione della metropolitana di Veddel, Ballinstadt). Con Lapiz ci siamo incontrati in uno dei pochi bar decisamente non trendi di Sankt Pauli e con lui abbiamo a lungo parlato della scena locale, della sua attività e dei punti in comune con la “nostra” Milano. A lui, poi, abbiamo rivolto qualche domanda per conoscerci meglio.

Lapiz, come e quando è iniziata la sua carriera di street artist?

La prima volta che ho dipinto per strada è stato a Dunedin, in Nuova Zelanda. Ero appena arrivato da Città del Capo, in Sudafrica, dove lavoravo nella ricerca sull’HIV. Mentre Città del Capo era frenetica e piena di sfide, Dunedin sembrava essere un luogo tranquillo, ignaro dei problemi esterni. Volevo cambiare questa situazione e ho iniziato a incollare stencil e paste up sfidando la vita tranquilla.

Perché ha deciso di esprimersi sui muri e non (solo) sul cavalletto?

Per la verità ho iniziato con le opere da cavalletto, ma sentivo che così non sarei stato in grado di raggiungere le persone. Il grande vantaggio della street art è che non ha bisogno di un curatore o di un gallerista che decida se l’arte è degna di essere vista. Non si chiede il permesso, ma si comunica direttamente con il pubblico.

Lapiz

Perché usi la tecnica dello stencil?

Quando lavoro a dei progetti, passo un’immensa quantità di tempo a preparare l’idea e l’argomento che voglio realizzare. Dipingerlo una volta sola non ha senso. Con gli stencil l’idea può essere riprodotta in alta qualità più volte.

Come prepari gli stencil?

La maggior parte della preparazione riguarda l’idea, che deve funzionare. A volte ho in mente un’immagine che sarebbe bella ma non ha senso. Quindi, prima espongo l’argomento, poi faccio una bozza a matita o ad acquerello, poi ricreo l’immagine al computer, combino tutto, la stampo, la taglio e infine la spruzzo.

Perché usi rappresentazioni supercritiche della realtà in cui viviamo? 

Ho lavorato per molti anni come scienziato, quindi mi sono allenato al pensiero critico e a scavare fino in fondo. La verità è che forse l’emozione che si cela dietro a ciò che si vede superficialmente è ciò che mi interessa e che poi condivido con il pubblico. Non sarei in grado di dipingere qualcosa di meno, sarebbe una perdita di tempo e una noia.

Lapiz

Che riscontro ricevi dalle persone che ti vedono lavorare per strada?

Un mix, la maggior parte è interessata e mi piace parlare con loro. Alcuni non sono molto amichevoli, perché vogliono qualcosa di non critico, qualcosa che li faccia sorridere, non qualcosa che li costringa a pensare o che li metta alla prova.

Dove dipingi principalmente ad Amburgo?

Al momento si possono vedere le mie opere al Gängeviertel e più recentemente sto ridisegnando l’intera stazione della metropolitana Veddel (Ballinstadt).

Ci sono luoghi, nella tua città e non solo, che preferisci? E se sì, perché?

Dato che dipingo principalmente muri, lo faccio legalmente e ad Amburgo il Gängeviertel è il mio posto preferito, mentre per l’affissione è Sankt Pauli. Oltre a ciò, amo dipingere nei festival, alcuni dei miei preferiti sono l’Ibug nella Germania orientale, il Grenoble Street Art Fest, l’Urban Nation e il Teufelsberg a Berlino e a Monaco (la culla dei graffiti tedeschi), per esempio il Werksviertel.

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