L’opera poliglotta di Coquelicot Mafille in via Padova a Milano

di Clara Amodeo

Quando Coquelicot Mafille mi ha scritto del progetto, ho pensato che non ci sarebbe stata persona più azzeccata di lei per questo tipo di intervento. Chi se non un’artista come lei, che traccia trame tra persone, cuce rapporti tra culture, nel nome del dialogo e dell’ascolto? Chi se non una donna come lei, di mondo e che dal mondo viene, sarebbe stata in grado di interpretare e ricreare, attraverso non solo uno stile inconfondibile ma anche contenuti di valore e di spessore, l’intricatissimo cosmo, fatto di persone, storie, culture e identità multiforme, di via Padova e del quartiere?

Non deve dunque stupire che sia stato il suo il progetto selezionato dalla giuria dell’open call Tunnel Reload in ambito Tunnel Boulevard, realizzato nel sottopasso ferroviario di via Padova angolo via Pontano a Milano. Stasera, curiosi e affezionati potranno vederne l’inaugurazione dalle 17.30 alle 20: quello che ci si presenterà davanti sarà un vero e proprio “fregio contemporaneo”, un immenso collage di 70 metri di lunghezza per 2 di altezza (35 metri per ogni lato), concepito con uno sfondo stampato di scie, linee, elementi di colore, sopra al quale l’artista ha incollato più di 60 figure dipinte e ritagliate a mano, silhouette uniche a comporre un caleidoscopio di storie e di volti. 

“È una narrazione vibrante, materica, gioiosa del quartiere che lo accoglie, che è molte cose e tra quelle che ho percepito, è attivo, poliglotta, speziato, a volte affaticato dal peso della quotidianità, ma che è pronto a ballare nel retro di un ristorante o ad osservare l’umanità che passa come se fosse davanti al mare”, ha detto Coquelicot Mafille. Che ha aggiunto: “Nel sotto passaggio pedonale fa più fresco, è più buio, i rumori rimbombano, è una transizione sospesa, dove ora chi cammina incontra le voci e le persone del territorio circostante, reale e immaginario, a cui ho dato un contorno, una messa in luce. Nella mia vita e nel lavoro unisco poesia e realtà, coesistono l’una nell’altra, a volte sono atmosfere, respiri sottilissimi, battiti di ciglia che fanno scintillare momenti più ardui o assurdi “.

In questo nuovo percorso onirico che trasforma il cemento e l’oscurità in un diagramma-fiume di possibilità, l’artista ha inserito vere e proprie poesie, nella lingua in cui sono state scritte e che corrispondono alle lingue sentite per strada. Vi è così un codice magico in tamazigh, la poesia in arabo Carta di identità di Mahmoud Darwish, poeta palestinese, un aforisma di Rabindranath Tagore in Bengali che narra di fiumi da attraversare, un poema di Zang Di, in mandarino, Misteri i Lutjeve della poetessa albanese Luljeta Lleshanaku, Tortuga del boliviano Benjamìn Chavez, አቃጅ

in amharic di Mihret Kebede, Infant Language in Tamil della poetessa dalit Sukir Tharani, Prière aux vivants di Charlotte Delbo, Bene, Vediamo un po’ come finisci di Patrizia Cavalli, l’alfabeto ebraico come per suggerire l’importanza del logos, dal quale iniziare e a cui tornare sempre quando si tratta di convivenza e conoscenza.

“La mia felicità – dice ancora l’artista – risiede nel vedere chi si ferma perché attiratə da qualcosa di familiare, e inizia a leggere. Nei giorni di lavorazione più di un passante si è messo a declamare a voce alta la poesia e a tradurmela, e a condividere con me o con i suoi amici l’emozione di un’intima nostalgia. Incontrare un pezzo scritto nella propria lingua materna soprattutto se lontana dal panorama quotidiano è un momento di sorpresa che può trasformarsi in gioia. Amo l’idea di permettere a momenti di meraviglia di sbocciare, seppur per pochi istanti, per pochi metri”.

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