Sopra e sotto, luce e buio, caldo e freddo. Le dicotomie di cui una città come Milano sa farsi portatrice sono tantissime e, spesso messe nella condizione di non dialogare tra loro, restituiscono, a chi la vuole ricercare, una realtà divisa, quasi spaccata in due da una ben definita linea di demarcazione imposta (o forse indotta) da ragioni al sapor di fattura. Same old story, qualcuno dei milanesi potrà pensare: eppure, ogni volta che una di queste contraddizioni viene riportata all’attenzione del grande pubblico, c’è come un moto collettivo di stupore, misto a rabbia, misto a cura che pervade chiunque si prenda la briga di conoscere e approfondire. A me è successo con il DaunTaun del Leoncavallo, che, vuoi l’età, vuoi l’ignoranza, non avevo mai visto ma che ho avuto modo di conoscere (e pure vedere) nel corso degli ultimi mesi grazie alla lungimiranza e al lavoro di alcuni (militanti, artisti e restauratori) che hanno fatto una scelta ben precisa: svolgere non solo una riflessione di carattere sociale e politico sulla (turbolenta) relazione tra la città di sotto e la città di sopra, ma anche attivare un’interessante azione artistica volta a conservare un luogo che potremmo definire storico e, dunque, storicizzabile.
Ma facciamo un passo indietro. Questa estate, dopo alcune chiacchierate informali sul tema, il Leoncavallo Spazio Pubblico Autogestito organizza un dibattito pubblico dal titolo “LA CITTÀ DI SOTTO – DaunTaun – Leoncavallo – La città”, durante il quale amici vari (tra cui Vandalo, Jonathan Chiesa e Anita Pirovano) si trovano a dover/voler rispondere alla spinosa domanda “Oggi, c’è ancora spazio per la città di sotto a Milano?”. Nel corso del dibattito la storia del DaunTaun diventa paradigmatica: come illustrato sia da Vandalo sia da Teatro si tratta, infatti, di uno dei primissimi luoghi in cui la Street Art (o almeno quella che si stava definendo tale) di Milano ha trovato un proprio spazio espositivo, spontaneo e autogestito, durante la nona edizione del HIU Happening Internazionale Underground, (16/17/18 Maggio 2003). Nella mostra “Lavori In Corsa – La Street Art dagli Anni ’80 a oggi: adesivi, installazioni, stencil, poster, etc”, curata da Pao, gli spazi del DaunTaun vedono la vecchia scuola milanese (qui rappresentata dagli stessi Vandalo e Teatro affiancati da Paolo Buggiani, Atomo, Stwarz, Shah e Giacomo Spazio) dialogare con i più giuinott della scena (Abbominevole, Bo130, L’x, Microbo, Pao, Plank, Robot Inc., Santy, Taz Movement, Pus, Ozmo, Dade, 108, SeaCreative e Zibe), portatori di un linguaggio nuovo entro pratiche riconosciute.
Il risultato è esplosivo, con installazioni temporanee nelle sale e realizzazioni permanenti sui muri: sculture e operazioni su arredo urbano si avvicendano a stencil, poster e paste up, che, realizzati a spray o a pennello, si affastellano a partire dalla rampa delle scale che porta al DaunTaun fino a tutto lo spazio interrato. La storia vuole che, a mostra conclusa, le installazioni temporanee sono state asportate e lo stesso DaunTaun non è stato più utilizzato (se non in sporadiche occasioni) per via carenza di uscite di sicurezza.
E se a qualcuno scappa di dire “che peccato”, noi storici dell’arte ci sfreghiamo le mani: come già visto in altre occasioni, infatti, la quasi totale assenza del passaggio umano ha reso il DaunTaun una vera e propria capsula del tempo, in grado di preservare le origini delle tracce di una cultura che, nel giro di pochissimo tempo, e agli occhi della città di sopra, è diventata qualcosa di altro da sé, snaturata e comprata, mal comunicata e spesso non capita. Lì, invece, nelle viscere del Leoncavallo, è oggi possibile tornare dove (quasi) tutto ha avuto origine: perdonatemi l’enfasi, ma raggiungere Alessandra Carrieri nelle sale del Dauntaun 18 anni dopo è stato come mettersi nella macchina del tempo e rivedere la me adolescente, che per le strade di Bovisa, o sulla Martesana, o nei vicoli più infrattati del Naviglio Grande, incurante della movida, andava a caccia di tracce, figure, iconografie che si ripetevano, identificabili nello stile ma non negli autori, per leggerli, fotografarli e infine copiarli su carta.
Impossibile, dunque, descrivere l’entusiasmo quando, nel corso del dibattito pubblico, la notizia del restauro del DaunTaun è stata ufficializzata. Non solo perché, dopo alcuni sporadici tentativi, si tornava a parlare di un certo tipo di conservazione per altro per volontà degli artisti stessi, guidati da Teatro, ma anche perché a farlo era (ed è tutt’ora) l’amica Alessandra Carrieri, che tanto mi ha insegnato sul tema del restauro dell’Arte Urbana.
Ale, com’è iniziato il lavoro?
Sono stata contattata da Marco Teatro che, inizialmente, voleva capire come funzionasse il restauro e cosa si potesse fare per mantenere la storicità dell’ambiente. A seguito del primo sopralluogo, ho visto che tutti i pezzi erano in buono stato tranne quella parte in cui sto lavorando (sala centrale a sinistra nella fascia perimetrale inferiore, ndr). Da lì ne è scaturita una considerazione: trattandosi di un progetto nato dagli esecutori, per me non aveva senso che intervenissi sulle ricostruzioni; pertanto, gli ho consigliato di procedere autonomamente con alcuni accorgimenti finalizzati a mantenere la storicità dei pezzi (reincollare le carte cadute, alcune delle quali conservate a parte, e dare qualche piccola pulitura a secco con delle spugne), prevedendo che io mi limitassi a effettuare la rimozione dei sali e il consolidamento della parete nella parte danneggiata. E così, la manutenzione delle opere è stata fatta direttamente dagli artisti.
Beh, mi pare che si tratti di una piacevole novità!
Sì, la manutenzione degli artisti sulle loro opere è una novità assoluta che si è verificata qui per la prima volta, ma ci sono già stati casi in cui gli artisti hanno già ripreso i loro pezzi. E non si tratta solo di una situazione abbastanza unica ma anche (soprattutto) di un riconoscimento, da parte degli artisti stessi, del valore di quella che si configura a tutti gli effetti come una capsula del tempo da conservare e da tramandare. Oggi la Street Art tende a diventare commerciale, mentre in questo spazio si vede come e quando a Milano sia nata, come si fosse sviluppata senza essere etichettata.
Non credi che il tuo/vostro lavoro di restauro e manutenzione perderebbe di significato se lo spazio fosse riusato come una volta?
Secondo me è un ambiente che dovrebbe continuare a essere fruito, magari usandolo come coworking, pensando ad attività che rendano lo spazio godibile ma in maniera rispettosa. Considera che è vero che è rimasto tutto fermo ma ci sono scritte e sticker di persone che in questi anni sono scese e hanno lasciato la loro traccia, dimostrazione del fatto che lo spazio fosse comunque usato, seppur di passaggio. Per altro l’ambiente è molto freddo, il che va benissimo per conservare le realizzazioni, ed è al coperto, per cui le opere non sono corrotte dagli UV e i colori sono rimasti com’erano.
Che effetto ti ha fatto rientrare qui dopo 18 anni di chiusura?
Eh.. la cosa che mi ha emozionata di più è che entrare in questo spazio è come tornare nella Milano di inizio duemila, quando vedevi questi pezzi in giro per la città.
Marco (Teatro, ndr), da chi nasce l’idea di restaurare e secondo quale modalità? Mi par di capire che sia stato tu a porre il tema all’attenzione non solo del Leo ma anche degli artisti, rivolgendoti ad Alessandra per capire l’approccio da tenere.
L’onere (non l’onore) di questa decisione è mio. Conscio del fatto che a mio avviso nel DaunTaun si conserva quasi integro un tesoro, miracolosamente sopravvissuto alle ingiurie del tempo breve della streetart, come ho anche scritto anche nel mio libro (La guerra dei segni), si è verificato un evento pioniere di grande rilevanza storica, avvenuto nel 2003. Nel 2002 stavo programmando la nona edizione del festival HIU dedicato alle arti visive underground, era l’anno in cui la streetart stava esplodendo e si cominciava a percepirla come una corrente a sé stante. Era indispensabile inserire la cosa nel festival e aprire un dibattito animato che era già in corso, dopo dieci anni di dominio incontrastato delle regole Hip Hop con la loro scala di valori, una nuova generazione riproponeva tecniche usate dalla prima ondata artistica di strada. Fu quasi una forzatura conciliare la scena pioniera degli anni ’80 con la nuova generazione che agiva con uno stile più fresco e pionieristico. Il risultato di questo confronto si può vedere tutto nel DaunTaun ancora oggi.
Quali sono state le necessità che ti hanno mosso ad andare in questa direzione restaurativa? Te lo chiedo perché non è una scelta usuale nel contemporaneo urbano (ma personalmente l’appoggio molto, quindi mi fa doppio effetto)
E’ chiaro che nel 2003 pensavamo che i nostri lavori sarebbero scomparsi tutti entro l’anno seguente, come succedeva normalmente per tutte le azioni di strada nel resto della città; per una serie di eventi fortuiti questo non è accaduto, oggi ritroviamo quelle giornate quasi intatte, e come in una capsula del tempo si possono osservare i primi passi concreti della streetart. a questo punto, non togliendo spazio a nessuno, visto la vastità dei muri disponibili al Leoncavallo, mi è parsa la cosa più saggia trovare il modo di conservare per i posteri questa avventura.
Come hanno preso gli artisti questa tua proposta? E, soprattutto, come si sono mossi operativamente sui muri?
Gli artisti sono tutti molto entusiasti di questa idea, perché il lavoro è ancora grandioso oggi, è genuino e spontaneo, è collocato in luogo semiprotetto, collettivo e pubblico nello stesso tempo. Tutti gli artisti che ho convocato a valutare lo stato delle loro opere sono rimasti sbalorditi.
Pensi che, a fronte di un restauro conservativo, DaunTaun potrà/dovrà tornare a essere frequentato o la strada è quella della musealizzazione? E se, come immagino, l’idea sarà quella di riattivare lo spazio, quale funzione avrà, di nuovo, nel futuro, DaunTaun?
Non lo so ancora, adesso è più urgente fare in modo che quei lavori possano sopravvivere integri, poi una soluzione si troverà, ma se scompaiono, sono tutte parole al vento. Forse non sarà consigliabile aprirlo per serate danzanti, anche perché solo per sistemare le uscite di sicurezza si deturperebbero sicuramente dei lavori. Per farlo fruire dal pubblico secondo delle normative sensate e coscienti si potranno fare solo alcuni tipi di iniziative pubbliche. La parola musealizzazione è brutta ma non è del tutto scorretta, se vogliamo mantenere queste opere bisogna prendersene cura sul serio o spariranno per sempre.