Non aggrottare la fronte all’hashtag #laculturanonsiferma di questi tempi sembra davvero difficile, se non impossibile: tanto impegno e altrettanta pazienza gettano un po’ nello sconforto gli addetti ai lavori. Oltre tutto, a genera ancora più scompiglio – che tante volte si traduce in difficoltà e stanchezza – è la confusione: aperti, chiusi, socchiusi. Stare al passo è davvero complesso.
L’arte – come molti altri settori – si è vista chiudere ripetutamente le porte in faccia. Necessario? In certi casi assolutamente sì, per il bene di tutti. Lo si mette in discussione invece quando il “lasciapassare” viene o è stato dato a situazioni ben più rischiose. Ed è qui che il digitale ha avuto un ruolo determinante. Musei, Enti e Istituzioni sono diventati virtuali, hanno aperto le porte e permesso di visitare i loro spazi con tour 3D.
È il caso della galleria Patricia Armocida che – dal 25 Novembre al 24 Aprile 2021 – ospita la seconda personale italiana di eL Seed, Templates Of Love, visitabile online e – in ottemperanza delle nuove disposizioni – in presenza (chiedere informazioni qui). L’artista franco-tunisino che ha fatto della calligrafia araba il mezzo per sviluppare il tema identità-eredità con l’obiettivo di creare delle connessioni tra culture e tradizioni diverse. La serie di eL Seed è un’indagine sull’amore, un sentimento dalle tante “sfaccettature” come i cinquanta modi per esprimerlo in lingua araba.
Ho avuto il piacere di fare qualche domanda a Patricia Armocida, incuriosita non solo dal lavoro di eL Seed ma anche dalla sua visione sulle nuove modalità di esporre l’arte.
Lo spazio espositivo è il luogo dell’azione dell’arte. L’emergenza sanitaria ha coinvolto la sfera sociale, economica e culturale, nessuno escluso. Che cosa ha comportato e cosa ha provato a dover pensare e/o ri-pensare ad una digitalizzazione, in questo caso, della personale di eL Seed? È la prima volta che vi capita di aprire una mostra in modalità virtuale?
La mostra di eL Seed era già stata programmata da tempo e ha previsto importanti produzioni, come le sculture in vetro di Murano. Non ho voluto né cancellarla né spostarla, anche perché nessuno avrebbe potuto prevedere quando la situazione si sarebbe normalizzata. Ho preferito pensare a questo momento incerto come a una opportunità per sperimentare modi alternativi e più attuali per lanciare la mostra. Gli strumenti messi a disposizione dalla più aggiornata realtà della visita virtuale sono stati estremamente funzionali allo scopo. Questo metodo ha reso possibile la visita della mostra non solo alle persone sul territorio milanese, ma soprattutto a tutti coloro che sono in altre nazioni, in altri continenti, che comunque non sarebbero riusciti a essere presenti all’inaugurazione. È stato un gran successo. È stata una inaugurazione in cui gestivo le richieste e le vendite da casa.
Gestisco la vendita delle opere senza la presenza del collezionista in Galleria già dal 2007, ma questa volta, al cliente come al pubblico, è stata data la possibilità di “entrare” in galleria stando comodamente a casa propria. Ovviamente vedere le opere dal vivo, incontrare l’artista, la socialità, l’atmosfera che si respira durante l’inaugurazione è insostituibile. Ma questa opportunità virtuale così fluida dieci anni fa sarebbe stata impensabile.
Con la nascita del museo moderno l’arte è progredita come sempre più fine a se stessa, “emancipandosi” dal suo ruolo e scopo rituale, portando così il visitatore a sviluppare un giudizio autonomo slegato da una qualsiasi praticità dell’oggetto-arte ma intimamente connesso con il contesto in cui le opere sono collocate. Una galleria, a mio avviso ancor di più di un museo, oltre ad una trasmissione commerciale instaura un dialogo maggiore con i fruitori grazie al contatto diretto – come nel suo caso – con il curatore, talvolta proprietario dello spazio. Come viene percepita e contemplata l’arte in una galleria? La digitalizzazione “obbligata” di un’esposizione, rispetto al discorso precedente, come cambia le regole del gioco? Si tratta di un forte strappo rispetto alla tradizione: come l’avete percepito? E qual è stata la reazione del pubblico?
Il rapporto personale con il pubblico fa la differenza. Ma credo che sia inutile pensare come sarebbe stato se.. non serve. La situazione attuale è quella che è, e bisogna reagire e relazionarsi con ciò che è possibile fare all’interno delle regole imposte a causa della pandemia. Non ci si può bloccare, bisogna andare avanti e questa fase prima o poi passerà. E una volta usciti apprezzeremo ancora di più ciò che prima avevamo dandolo per scontato e che la pandemia ci ha tolto.
L’arte è per tutti, il sistema-arte no: non tutti hanno la possibilità di andare al museo – almeno non sempre – come altrettanti non si recano nelle gallerie perché frenati dall’aspetto commerciale dell’istituzione oppure perché talvolta non le si conoscono. Insomma, il digitale porterà una nuova democrazia nel rapporto col pubblico, aumentando la capacità di divulgazione dell’arte, o snaturerà il senso della fruizione personale (e di persona) in galleria come al museo?
Semplicemente si trasforma e si arricchirà. È una opportunità in più che non nega quella precedente.
In occasione di Tradizione Proverbiale, prima personale italiana di eL Seed tenutasi proprio alla Galleria Armocida nel 2017, l’artista franco-tunisino scrive: “Quando creo la mia arte, scrivo, e quindi dico qualcosa esprimendomi a parole, ma, allo stesso tempo, disegno, e quindi dico la stessa cosa esprimendomi anche per immagini. L’estetica e lo stile di un’opera d’arte prendono parte alla trasmissione di un messaggio e possono essere tanto influenti quanto il messaggio stesso. Qualificherei i miei lavori come proverbiali nel senso che essi costituiscono, sul piano estetico, il più profondo messaggio proposto”. Templates of Love è un viaggio alla scoperta del senso più profondo dell’amore. Quella di eL Seed è una ricerca artistica delle diverse locuzioni per esprimerlo: il percorso espositivo è “fisicamente” un dialogo sulle diverse espressioni dell’amore? Come avete adattato spazialmente il concept della personale?
In questa mostra, il legame tra tutte le opere è la luce, come risposta ad un periodo piuttosto buio. Il tratto nero che ha tanto caratterizzato la parte calligrafica di eL Seed qui è quasi del tutto assente. Si è giocato sulle trasparenze e sui riflessi, aspetti che si ritrovano anche nelle sculture in vetro di Murano. Perché luce è amore, tema che ha scelto eL Seed per la mostra. Ogni opera contiene al suo interno in forma calligrafica araba una delle tante forme dell’amore, come ad esempio Heat of Longing, Unreason, Nostalgia, Infatuation, Seduction, che dialogano tra loro nei due piani.
In Lo spazio critico. Note per una decostruzione dell’istituzione museale (Roma, Sossella, 2004) Federico Ferrari scrive: “Nella caverna nasce l’arte. […] L’immagine esposta nella caverna è superiore a ogni altra immagine della realtà, poiché ne è la misura. […] La caverna è il primo, seppure ancestrale, spazio espositivo. […] L’arte, nella caverna, è sostanzialmente magica, legata alle forze del cosmo, dell’animalità”. La Galleria Patricia Armocida vede spesso come protagonisti artisti legati all’Arte Urbana che, per l’occasione, creano delle opere site specific all’interno dello spazio. Penso ad esempio a Guerra Civile di Ericailcane del 2009 o Assum Preto di Os Gemeos del 2007. Tuttavia, nei titoli e nelle intestazioni dei progetti non compare mai la dicitura “Street Art” o “Urban Art”: è come se lo spazio della galleria diventasse per un periodo “la caverna” dell’artista. Non si incappa in un impiego sbagliato dei termini, cosa che molto spesso avviene da parte degli addetti ai lavori. Si tratta di un focus voluto su questi artisti come protagonisti del contemporaneo? Che tipo di mercato sta nascendo su questo fronte? A prescindere da come si evolverà la situazione legata al COVID-19, rimane aperta la possibilità di continuare con i 3D tour delle personali?
I comunicati stampa li ho sempre scritti di mio pugno, descrivendo le opere in mostra con la metodologia d’analisi della storia dell’arte e quel termine non ho mai voluto utilizzarlo. I miei artisti non si riconoscono con quella definizione. Quel termine è un calderone grossolano e fuorviante che, il mio caro amico Luca Barcellona, ironicamente chiama ‘street-to misto’, in cui metti dentro qualsiasi cosa, e questa categorizzazione non favorisce, anzi ostacola il riconoscimento dell’artista. Nella mia galleria presento artisti di arte contemporanea che provengono da background differenti spesso non collocabili in categorie forzate.
Per quanto riguarda il mercato, si è sviluppato un forte interesse negli ultimi vent’anni. Sempre in costante crescita. Dal 2009 in poi ho visto nascere aste specializzate e mostre di arte urbana, quest’ultime spesso, create dai collezionisti senza l’autorizzazione degli artisti. Si sono create delle fiere focalizzate su questo tema. Credo che tutto questo sia auto-ghettizzante e vada ad alimentare il pregiudizio e la resistenza nel più ampio mercato dell’arte contemporanea.