Prendete una città refrattaria alla creatività urbana, aggiungete una scena artistica storicamente disgregata e poco avvezza a fare fronte comune, unite un pizzico di malizia all’italiana e mescolate per bene. Avrete ottenuto il triste epilogo dei Giardini Baltimora di Genova, dove domenica scorsa lo storico writer genovese Roisone assieme al socio Mike hanno per protesta coperto di bianco i pochi pezzi scampati a un vero e proprio buffing perpetrato, senza alcun tipo di preavviso, proprio dal Comune. Con il risultato che oggi Genova perde l’unico spazio di aggregazione artistica, pubblico e autorizzato, nel nome della riqualificazione urbana.
Ma andiamo con ordine. Circa quattro anni fa Roisone decide di impegnare tempo ed energie per dialogare con il Municipio I (dove insiste il giardino, ai piedi del palazzo della Regione) per presentarsi e dare garanzie sul proprio operato, nell’intento di farsi concedere i pochi spot del Giardino Baltimora e renderli una vera e propria hall of fame, da gestire assieme all’amico e socio Romone. “Solo” otto mesi dopo arriva la risposta del Municipio: un permesso cartaceo, nella forma di patto di collaborazione, per “la riqualificazione, abbellimento, creazione e rigenerazione di opere visive realizzate con tecniche di “aerosol-art” su parete muraria sita in via Madre di Dio all’interno dei Giardini “Baltimora””.
Nei successivi 4 anni Roisone e Romone si prendono cura del luogo, diventando, di fatto gli unici “guardiani” di un posto altrimenti abbandonato: “è stato uno spazio – spiega Roisone – dove poter continuare il proprio percorso artistico dopo oltre 20 anni di carriera, esercitarsi, creare opere e sfogare la propria passione”, oltre che condividerla con le altre persone che frequentavano quel posto. Ma a settembre 2020 arrivano le prime avvisaglie: “D’un tratto – mi spiega Roisone – nei Giardini è comparso un cartello che diceva che la zona sarebbe stata inserita in un progetto di riqualificazione urbana a opera del Comune: da subito, quindi, ho cercato di capire di cosa si trattasse, chiedendo ai miei contatti in Municipio (che poi sono gli stessi con cui ho sottoscritto i documenti) se anche noi potevamo prendere parte al progetto. Non solo perché la nostra produzione artistica aveva nel tempo mirato, come da accordi nel patto di collaborazione, all’aspetto riqualificativo, ma anche perché siamo l’unico soggetto che da sempre presidia l’intero parco”. Credete abbia mai avuto risposta?
Peccato che il silenzio assordante degli ultimi 6 mesi del Municipio si sia spezzato, settimana scorsa, nel peggiore dei modi: “Immagina il mio stupore – mi racconta ancora Roisone – quando, lunedì scorso, sono tornato ai giardini e, dopo mesi che bussavo alle porte del Municipio, ho trovato, dal nulla, parte dei miei disegni imbiancati. L’unica spiegazione mi è stata fornita da un operaio, trovato lì per caso: “Il Comune ha deciso che queste scritte non vanno bene”, mi ha detto, ed è tornato a fare il suo mestiere”. Ma se credete che tutta questa storia abbia dell’incredibile, non avete ancora sentito la parte più gustosa: “Le istituzioni ci hanno dato una risposta ufficiale solo venerdì, quando mi hanno mandato una sospensione dei permessi in nostro possesso. Il motivo? Le nostre scritte erano state vandalizzate. Inoltre, secondo loro, i graffiti non bastano per riqualificare dal punto di vista sociale”. Grazie e arrivederci.
Da qui l’epilogo: “Domenica Mike e io siamo tornati muniti di tolla di bianco e, per protesta, abbiamo coperto le ultime opere rimaste. Tra queste ve n’è una che rappresenta l’attuale situazione: un mare in tempesta, qual è quello che sta attraversando l’arte e la creatività urbane a Genova, e una lanterna, che, simbolo della nostra città, vorrebbe (o avrebbe voluto) anche rappresentare la speranza che, prima o poi, la città si apra a nuove forme di espressione, concedendo spazi alla cittadinanza in cui esprimersi, snellendo la burocrazia e raggiungendo il pari di Torino e Milano”.
Già, perché a ben vedere la condizione in cui si trova a (soprav)vivere la creatività urbana nel capoluogo ligure è davvero allarmante: “Qui non c’è un mq a disposizione per la libera espressione – mi racconta Roisone – chiunque voglia spingere un evento, anche il più piccolo, deve passare per le grinfie di una regolamentazione che impone di presentare un progetto dettagliato al Municipio il quale, se lo approva, dà il proprio benestare politico solo se gli viene fornito un prospetto grafico dettagliato, i bozzetti, fino alla scelta dei colori; da qui, se tutto va bene, si passa all’ufficio del colore e infine alla paesaggistica che è l’ultima, nella trafila, a dare il suo ok. La tempistica più veloce è di due mesi, ma si può attendere fino ai due anni prima di vedersi il progetto approvato.
I Giardini Baltimora, invece, rappresentavano la prima e unica realtà che riusciva a scavalcare tutta questa burocrazia: un progetto dato a due intestatari grazie ai quali si riusciva a operare liberamente, con criterio ma anche dando spazio ad altri artisti, provenienti, nel tempo, non solo dalla Liguria ma anche dal resto dell’Italia. Un luogo di incontro e confronto, termini necessari per far crescere il movimento, oltre che vero e proprio punto di riferimenti per i ragazzi della zona, che usavano i Giardini come set di foto o come palco per le battle di rap. Adesso, invece, vedere questa cosa mutilata è come fare un passo indietro enorme”.
Colpa di una pubblica amministrazione più o meno maliziosamente sordo cieca? Certo, ma non solo. “La mancanza di questi spazi – ammette Roisone – è sintomo anche di una carenza di artisti fortemente motivati a fare fronte comune, a creare gruppo e portare avanti istanze che appartengono a molte persone. La scena genovese, infatti, è frammentata, disgregata, i più grandi dipingono in spazi che si sono fatti propri (e sono tollerati) mentre tutti gli altri si possono arrangiare: questo ha fatto sì che i gruppi si sono separati e che manchi gruppo, anche solo per scambiarsi delle idee e farne crescere di nuove. Un atteggiamento che è tipico di Genova e dei genovesi, e che sono il primo ad ammettere di avere avuto anni addietro, ma che è tempo di far finire. O, da soli, si arriverà poco lontano”.
E ora? E ora è tempo di combattere con la forza del dialogo. Unitamente, anche se la strada è in salita, e mettendo in campo forze, conoscenze e tanta diplomazia per dare un nuovo corso a Genova. E per permettere che tutti, Roisone compreso, possano trovare il loro spazio per una necessità tanto umana quanto nobile: quella di esprimersi liberamente e rendere la città un polo attrattivo e vivo per tutta la creatività urbana.