“Greatest Hits”, una discografia del Writing italiano, e King Koala, un collettivo indipendente dalla digestione molto lenta

di Camilla Castellani

Di questi tempi è oggettivamente difficile vedere il bicchiere mezzo pieno, specie se ti occupi di Cultura e affini. Eppure, nonostante l’incertezza sull’imminente e prossimo futuro, questa situazione delicata e critica insieme ha visto nascere alcune interessanti iniziative o proseguire per la loro strada certi altri grandi classici: sfruttando gli intermezzi temporali favorevoli, infatti, alcuni eventi annuali e con una lunga storia alle spalle hanno voluto mantenere fede alla tradizione svolgendosi con le dovute precauzioni. Un esempio? Unlock Book Fair, il meeting dell’editoria sulla scena del Graffiti Writing (e affini), di cui Modena quest’anno ha fatto gli onori di casa (e dove anche noi ci siamo recati, lo scorso 25 ottobre).

Ed è proprio qui che lo scorso ottobre è stato presentato “Greatest Hits”, un omaggio in tre volumi al writing italiano dalla fine degli anni Novanta ad oggi edito dal collettivo indipendente King Koala, nato tra Milano e Torino proprio durante il primo lockdown. Tra muri, treni e throw up di Spice, Fra32, Mind, Chob, Lama, Panda, Dem, Beast, Caps, Haker e Aster, il progetto è una discografia di una parte della scena che per molti rappresenta un vero e proprio culto.

Incuriositi, abbiamo fatto qualche domanda combo a Jacopo Buranelli di King Koala e Shyla N, responsabile di “Greatest Hits”.

La prima domanda sorge spontanea: non “cosa” ma “chi” è King Koala? Mi incuriosisce l’espressione “collettivo editoriale fluido”.

KK: Grazie per lo spazio e per il tempo che ci dedicate.

King Koala è una entità che raggruppa le sinergie artistiche di un collettivo di persone che si è ritrovato in lockdown a non sapere come produrre e cosa produrre di concreto, da un punto di vista artistico e, soprattutto, fotografico. Ci piaceva l’idea del koala perché il koala è un animale carino, sì, ma sempre bistrattato e decisamente strano per natura. Mangia eucalipto di continuo anche se è tossico, ha delle unghie che non usa ed è minacciato da un sacco di cose: i cani, i cacciatori, gli incendi. In teoria non dovrebbe esistere in natura, dovrebbe essere già estinto da secoli per via della sua incapacità a stare nel mondo. Eppure lui c’è, crea mondi, crea immaginari. Nella cultura aborigena il mondo è creato dai sogni degli animali selvatici, tra i quali c’è anche il koala che dorme moltissimo e quindi sogna altrettanto. Ci siamo riuniti e abbiamo trovato un re, il re di tutti i koala e abbiamo deciso di unirci in questa avventura. Attualmente siamo una realtà editoriale e stiamo producendo nuovo materiale per i mesi futuri. Con i ricavi oltre a coprire le spese stiamo sistemando anche uno spazio lasciato abbandonato per 10 anni, in via Ripamonti a Milano, dove speriamo di poter organizzare una “yard”, un cortile di eucalipto per nutrirci di arte, dinamismo, movimento e divulgazione. Siamo fluidi perché non abbiamo un genere specifico. I libri che sono fuori attualmente sono Composition Books del fotografo Luca Mata (cinque quaderni molto intimi, intesi come scrap books, che raccontano l’immaginario creativo del fotografo) e l’altro è appunto Greatest Hits, curato da Shyla N e Meuri 97 con una bella introduzione di Pietro Rivasi. Un box di tre libri sui graffiti… decisamente diverso dall’altro. Inoltre noi non abbiamo problemi di genere, brand, proposta creativa e censura… siamo aperti a tutto e vogliamo scoprire cose nuove.

Presa di consapevolezza lenta come la digestione di un koala: possiamo chiamarlo il vostro modus operandi? Un processo creativo che segue uno o più artisti coinvolti nei progetti dall’idea alla realizzazione finale?

KK: Sì esatto. Siamo pigri come i koala nel senso che ci prendiamo il nostro tempo. Non abbiamo una logica produttiva editore / distributore perché non ci interessa il mercato editoriale in quanto tale, ma ci interessa essere presenti con bellissime produzioni che rispecchino la volontà dell’artista. Nella fase di produzione e di creazione del concept c’è un forte legame umano con l’artista, si entra in contatto con una realtà non virtuale, ma fisica che è un altro dei nostri punti principali. Il ritorno alla fisicità delle produzioni e delle immagini. Si tratta di processi che richiedono tempo e che soprattutto non vanno lisci al primi colpo. Ci si scontra con ansie, paure, idee vaghe o idee troppo circoscritte. Noi ci lavoriamo su, sia l’editore Jacopo che i vari artisti coinvolti e anche altre figure che seguono i processi e che non sono né editori o artisti, ma che fanno parte della yard per dare una opinione più ampia a quello che stiamo facendo. Paolo per esempio è il traduttore di tutte le opere e partecipa anche lui alla genesi dei progetti, così come Andrea che invece è il responsabile dello spazio che stiamo costruendo, la yard.

Inoltre, quando si lavora sul progetto, non ci si ferma alla carta stampata; produciamo materiale per la stampa, video, intere colonne sonore… facciamo di tutto perché quello che l’artista ha dentro emerga. E lo facciamo, in prima battuta, senza paletti: fantastichiamo su edizioni di mega lusso, ci prendiamo lo sfizio di provare le carte, gli inchiostri e la cartotecnica, avendo al nostro fianco anche esperti come Alessandro (mastro tipografo) e Giuliano (re della prestampa). Lo spazio di Ripamonti è una ex litostampa quindi ci sono macchine che ancora funzionano e su cui stiamo giocando…

Circoscritto quello che vogliamo fare, valutiamo le nostre effettive possibilità e da lì partiamo con la realizzazione. Per entrambi i libri usciti (anzi, entrambi i box) è stato così.

Leggendo del legame tra King Koala e del tuo interesse verso la cultura aborigena e i miti della formazione mi ha colpito molto questa frase: “[…] Tutti loro, e così probabilmente anche un koala, camminando, cacciando, ballando, dormendo o semplicemente sedendosi, lasciarono nel mondo fisico tracce delle loro azioni e segni del loro passaggio. […]”. Lasciare il segno: immediato il rimando a “Greatest Hits”. Nel Graffiti Writing esprimersi è sentito quasi come un obbligo, più di un bisogno: è uno dei messaggi che volete comunicare in questi tre volumi?

KK: Che bel parallelismo! Perfettamente calzante. Sicuramente GH è anche questo, o almeno è uno degli aspetti che ne ha portato la realizzazione. Dal punto di vista editoriale, lavorare su quelle foto è stato un tornare a una dimensione del gioco, forse infantile, quando per le strade quei nomi, quei muri colorati, richiamavano pensieri, fantasie, mostri, folletti. Ricordo che giravo per Milano e non ricordavo i nomi delle vie, ma le tag sui muri e chiamavo le vie o le piazze seguendo quei codici.

SHYLA_Ma non parlerei esattamente di obbligo, anzi: Greatest Hits nasce dall’urgenza di fare un po’ un punto su quasi 30 anni di graffiti in italia, dove i protagonisti sono stati mossi proprio dal bisogno di sviluppare le loro skillz a 360 su muri throw up e treni, senza sentirsi obbligati a farlo, ma proprio per mera necessità di impadronirsi della giungla urbana conquistandola coi loro nomi.

“Greatest Hits” è un progetto completo in cui ogni elemento è finalizzato al senso del lavoro. Mi riferisco all’oggetto in sé: 18×18, il formato del vinile 7” – l’universalmente noto come 45 giri -. “Greatest Hits” vuole essere un “best of”? Una compilation di undici tracce che racconta un pezzo di storia del Graffiti Writing nostrano?

KK: Sì, siamo molto orgogliosi di questa scelta. Quando è nato il progetto ci sembrava utile dargli una connotazione anche musicale e per musicale intendiamo musica fisica. Il vinile, i 45, i box set della Trojan records per dire… era tutto un immaginario che ben si sposa con l’idea di lasciare un segno, di avere una cura materica all’oggetto che non è solo libro, ma è raccolta di pensieri, memorie, foto, colonna sonora di una generazione.

SHYLA_Più che una compilation di undici tracce, è una compilation composta da undici artisti facenti parte di un festival di soli headliner: ogni artista, suona le sue hit migliori eseguite su tre diversi palchi. L’idea del richiamo al vinile sottolinea una volta di più il legame a doppio filo che dagli anni 70 a NYC correva tra graffiti e musica con le prime jam; per non parlare del fatto che i graffiti, specie se su metallo e quindi in viaggio su rotaia, girano. Girano esattamente come un vinile gira sui piatti.

Come sottolinea Pietro Rivasi nell’introduzione a “Greatest Hits” sui vinili 45rpm sono stati registrati gli anni d’oro della scena hardcore-punk che insieme ad un preciso scenario socio-culturale hanno forgiato la cultura DIY (Do It Yourself, ndr): quali sono i pregi e i difetti del lavorare a pubblicazioni indipendenti? Come viene percepita “l’indipendenza” nell’editoria di oggi? E come invece dai lettori/cultori di oggi?

KK: Che bella domanda. Lavorare in maniera indipendente per noi significa fuori dalle logiche di mercato distributivo, di tiratura e di calendario editoriale. Noi intendiamo l’indipendenza proprio dalla dinamica stessa della produzione, lavorando sul progetto per realizzarlo come vogliamo noi, il più possibile. Le logiche della produzione indipendente non sono diverse da quelle canoniche, abbiamo gli stessi problemi e spesso il punto di pareggio è il traguardo più grande. Il concetto alla base della diversità crediamo sia solo quello della consapevolezza. Se ti metti a fare cose DIY devi esserne consapevole e avere a che fare con tutta una serie di elementi che magari renderanno le cose più complicate, ma questo è il prezzo da pagare se vuoi fare quello che ti pare. Per quello che ti pare si intende poter avere gestione dei tuoi libri, dei tuoi progetti in libertà, senza troppe scadenze e senza doverti piegare a necessità di un mercato che magari non ti rappresenta. Arrivi in un mondo più piccolo, ma anche più diretto, più veritiero. Persone che impari a conoscere e con cui stringi dei legami che magari ti prendono il libro perché hanno capito il progetto e lo sposano. Tutto questo in una logica di mercato più grande è impossibile. Ovviamente le spese e gli investimenti devono essere ancora di più oculati e ragionati, ma anche in questo caso non avendo troppi costi esterni (DIY appunto) l’equilibrio è facile da trovare. Se invece si parte con il pensiero di fare il grande editore con il DIY allora manca la presa di coscienza della situazione e si incappa in casini.

Noi siamo nati in piena pandemia, nessuno ci conosceva benissimo e non abbiamo avuto modo di frequentare fiere o eventi di settore (se non per la bellissima esperienza all’UNLOCK di Modena), eppure il libro piace e riceviamo ordini da tutto il mondo. Questo è il pubblico, questi sono i lettori, i collezionisti che seguono queste dinamiche e interagiscono con le varie realtà creative. Si tratta di un meccanismo molto diretto, che ti fornisce anche la prova di come stai lavorando, di quale sia la direzione giusta per coinvolgere più persone, raccontandogli le tue storie e i tuoi sogni. A noi piace moltissimo lavorare così ed è quello che vogliamo continuare a fare.

“Greatest Hits” e la musica. Il Writing è una disciplina, ma in GH ne troviamo anche un’altra: l’Mcing. La cover dei volumi nasce infatti da una collaborazione con Noyz Narcos. Scelta legata a questo fil rouge o pura affinità artistica al concept?

SHYLA_Direi che entrambi i fattori sono stati determinanti. Sopra abbiamo parlato del perchè del formato a cofanetto, del legame vinile (musica)-graffiti; Emanuele da vent’anni fa musica con estrema coerenza, come pochi artisti in Italia sanno fare. Nelle sue barre parla della stessa strada piena di graffiti che presentiamo nel Greatest Hits, venendo esattamente da lì -a tredici anni infatti, Noyz Narcos fu uno dei primi writer di Roma. Qui, lo troviamo nelle vesti dell’artista che presta le sue skills calligrafiche per sugellare al meglio il concept con una scritta super partes: non si tratta infatti di un graffito, scelta assolutamente voluta, ma di un corsivo che appartiene solo a lui, nato dal suo percorso artistico fatto di intersezioni uniche tra rap, tatuaggi, graffiti e grafiche.

Tre generazioni della scena raccontate da undici artisti (firme storiche aggiungerei): Spice, Fra32, Mind, Chob, Lama, Panda, Dem, Beast, Caps, Haker, Aster. Non deve essere stata semplice questa selezione ristretta da parte di King Koala, Shyla N e Meuri97 – i responsabili del progetto -. Ti va di raccontarci come è nata?

SHYLA_ E’ nata da una mia esigenza di fare un punto sulla scena italiana, almeno dal punto di vista editoriale. Non ho trovato nessuna edizione infatti che non fosse un monografico o una zine, ho quindi voluto colmare un buco creando un vero e proprio “oggetto dei desideri”: un qualcosa dove fossero ben chiari i tre ambiti principali in cui un writer spinge (treni, throwups e muri), ma anche in cui venissero presentati in tutti e tre i campi delle persone che hanno spaccato costantemente, su tutta la linea: dei top players, insomma. Non è stato affatto semplice selezionarne undici: un po’ perchè ovviamente le persone presenti nella line up non sono le uniche ad aver spinto sui tre fronti in Italia negli ultimi trent’anni, un po’ perché una volta selezionati, avendo chiuso tutto il lavoro in soli cinque mesi (CINQUE MESI! Se ci ripenso è pazzesco) star dietro a tutti mi ha regalato non poche emozioni e grattacapi. Ma ne è valsa la pena, e rifarei tutto, dal disturbare il buon Pietro Rivasi (che ha curato le prefazioni) letteralmente a ferragosto, al rincorrere altri artisti per ottenere le foto analogiche e farne scansioni al pelo per andare in stampa o farmi odiare per via delle richieste esose di file in alta risoluzione per avere una stampa in off set da leccarsi i baffi. Un bel match insomma.

Concludiamo con un breve throwback: Domiciliari 2020. Di cosa si tratta? Da qui è stato creato terreno fertile per Greatest Hits?

SHYLA_ Direi che Domiciliari 2020 è slegato al discorso Greatest Hits, anche perché nel primo caso sia io che Mauri portiamo alla luce alcune nostre chicche fotografiche. Quindi avevamo lo stesso ruolo: in Greatest Hits la cosa è stata strutturata diversamente, visto che lui ha curato tutto l’aspetto grafico, mentre l’ideazione, la raccolta materiale e l’editing son stati affare mio. Domiciliari 2020 è una fanzine di soli scatti in bianco e nero, che presentano yard, nudità, abbandoni (nel senso di luoghi abbandonati); è una collezione muta di foto che raccontano una storia, o tante storie. Abbiamo lasciato volutamente che fosse a libera interpretazione. Inizialmente, Domiciliari è stata autoprodotta: andata sold out in breve tempo, abbiamo pensato fosse ottimo cibo per Koala e abbiamo proposto all’editore di produrre una seconda tornata, che penso sia ancora disponibile in poche crudissime copie.

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