Qualche giorno fa, durante un’intervista in occasione del suo novantesimo compleanno, Liliana Segre ha sottolineato quanto sia importante parlare dell’Olocausto come testimonianza storica e umana né con odio né con indifferenza, ma come di una cosa che è successa è basta. La memoria gioca un ruolo chiave nel ricordo della Shoah: come monito affinché atrocità del genere non accadano più, come esempio affinché oggi si possa lottare contro qualsiasi forma di discriminazione, come parentesi determinante la storia dell’uomo affinché ognuno di noi tragga i propri insegnamenti e le proprie conclusioni per vivere la contemporaneità.
“Un’opportunità per comprendere meglio il passato e capire di più il presente” è anche ciò che si prefigge la Cooperativa Talia che dal 2016 gestisce Bunker H: il rifugio antiaereo di Via Fago a Bolzano – costruito tra 1943 ed il 1944 ad uso esclusivo dell’esercito tedesco – che si snoda per 7000 metri quadrati scavati nel porfido tra tunnel e gallerie. Il Bunker H è un monumento storico che non solo racconta la storia della città durante fascismo e nazismo ma si fa portavoce di una sua rappresentazione e interpretazione in senso artistico.
Da qui, Bunker Walls – Street Art inside the cave. Organizzata dalla Cooperativa Talia, con il contributo del Comune di Bolzano e dell’Assessorato Sport Edilizia Abitativa, la mostra “Mythos. Dieci impressioni” – aperta al pubblico dal 12 settembre (ingresso libero e visitabile solo su prenotazione) – vede gli artisti protagonisti affrontare il tema di “Memoria e Oblio” con un pezzo sui muri del bunker.
“Logo al Rogo” è il titolo dell’opera che Mrfijodor vi ha realizzato: una svastica a spray e pennelli per bruciare l’ideologia nazionalsocialista.
Non capita tutti i giorni di avere l’opportunità, l’impegno e – se vogliamo – anche l’onore di poter dipingere su un reperto storico, soprattutto legato ad un contesto come questo. Che effetto ti ha fatto realizzare un pezzo nelle pareti di un bunker nazista e in che modo ha influenzato la tua opera?
Diciamo che ho avuto il privilegio di rimanere un po’ di ore sottoterra, senza campo telefonico, nel buio e nel silenzio di un luogo pregno di storia. Un posto davvero mistico dove la percezione dei fatti rimane quasi soffocata dalla carica spirituale della natura. Un’esperienza che mi porterò dietro per un po’.
Il simbolo che hai rappresentato non potrebbe essere più chiaro ed esplicito. Ma ci sono degli elementi che lo completano e dicono qualcosa di più e di più profondo. Come hai “esorcizzato” un simbolo come la svastica? In che modo gli elementi decorativi che la compongono ci aiutano nella sua chiave di lettura?
Ho pensato che l’unico posto dove avesse senso fare una svastica fosse lì, nella tana dei nazisti. Il titolo “Logo al rogo” è la base per comprendere come riproporre quel simbolo sia il modo più violento per ricordare cosa sia stato a livello storico, sociale e politico quell’ideologia per il nostro continente. Gli elementi decorativi sono la chiave di volta per immergersi nel suo significato. Gli occhiali per un miope sono la vita, io lo so bene perché sono orbo, e toglierli a una persona significa portarlo allo stremo e probabilmente alla morte. Per uccidere un uomo basta molto meno che un colpo di pistola o una bomba nucleare, basta disarmarlo di fronte al quotidiano.
Che effetto ti fa, a lavoro finito, un progetto di questo tipo? Un certo tipo di ideologia verrà mai mandata all’oblio? O ritrovi certi atteggiamenti nel mondo di oggi?
Il lavoro finito mi soddisfa, penso che il fastidio che ho provato nel disegnare una svastica sia lo stesso che proverà la gente trovandosela di fronte. Un pugno in pancia per riflettere su chi siamo e su cosa vogliamo diventare. Purtroppo certe ideologie hanno difficoltà a finire nell’oblio e con esse la violenza che è intrinseca nell’uomo. La recente cronaca nazionale ci insegna che bisogna essere molto vigili per arginare certi pensieri, soprattutto quando si trasformano in azioni verso gli indifesi.
Hai mantenuto anche fedeltà cromatica. Insomma non hai fatto sconti a nessuno. Rispetto nei confronti di un periodo e documento storico o scelta artistica e personale per rafforzare il tuo messaggio di denuncia?
Volevo essere diretto e semplice. Il mio obbiettivo, in questo caso, era di dare un pugno in pancia ai fruitori per far riflettere. Ma anche far prendere tempo alle persone per pensare su come l’antico simbolo del sole si sia trasformato nell’ultimo secolo in uno dei simboli del male, un segno della violenza umana.
Per realizzare questo pezzo hai fatto molta ricerca: cosa o chi ti hanno ispirato e influenzato? Cosa ti ha fatto dire “sì voglio fare proprio quel soggetto”?
Quando mi hanno invitato al progetto ho passato le prime due settimane a riflettere se partecipare o no. Volevo partecipare solo nel caso avessi avuto qualcosa da dire. Ho riflettuto sulle mie esperienze passate e mi sono ricordato di una cosa che mi colpì molto, e non solo me. Durante una visita ad un campo di concentramento vidi una stanza piena di occhiali. Un gesto semplice, come togliere gli occhiali, diventato crudele abbinato alla brutalità sistematica di un regime totalitario: ho pensato fosse perfetto per decorare il loro simbolo. Quel gesto l’ho trovato peggiore di una fucilazione, un’azione diretta e semplice per togliere la dignità di una persona, terribile.