Il design scende in strada: l’esperimento di Bob Liuzzo a Catania

di Clara Amodeo

“Cari designer, fly down: uscite, usate i pennelli, le bombolette e non solo Photoshop”. Così Bob Liuzzo, brand & graphic design oltre che coordinatore didattico allo IED di Milano, ha chiosato una lunga chiacchierata durante la quale mi ha presentato il suo ultimo progetto: un simbolo che racconta la storia di Catania e che Bob non ha voluto presentare sui social, tramite mock up o su Behance, ma nel luogo preferito da Hip Hop e affini. La strada.   

Faccio un breve passo indietro per raccontare l’accaduto: lo scorso Natale Bob, armato di scala a pioli, bombolette e stencil, si arrampica su un muro (“concessogli” da un commerciante) di via San Michele a Catania per realizzare un’opera. O, meglio, un simbolo: è il “logo” della città di Catania, nato in maniera spontanea (e dunque non su commissione) sulla base di tre semplicissime righe intersecate l’una all’altra, che insieme possono diventare un cerchio, un quadrato, un rombo e un triangolo e che, anche nei colori, rappresentano la terra, il cielo e il mare di Catania. A chiusura dell’opera, Bob verga una scritta che recita: “l’essenziale è invisibile agli occhi”, con “in” cancellato. L’opera, va da sé, diventa oggetto di discussione, sia per strada sia sui social, e Bob trae le sue conclusioni: “il progetto ha funzionato”.

Sì, perché l’intento di Bob è stato fin da subito molto ben chiaro: tornare nella piazza reale per parlare alla gente e presentare qualcosa, nel nostro caso un’opera grafica, evitando così la distorsione tipica della piazza digitale, a maggior ragione quando si ha a che fare con la produzione e la distribuzione delle immagini.  

“Non fraintendermi – mi avvisa – il web è importante e questo stesso progetto è nato attraverso la tecnologia e sui social sta trovando linfa, ma non dobbiamo dimenticare che la nostra vita, le relazioni umane, i rapporti di lavoro non si giocano sulla rete ma nel mondo reale. Oggi più che mai i progetti di grafica e di design vengono pompati con presentazioni sfavillanti, pdf, mock up: strumenti, insomma, con cui è facile mentire e che annullano il feedback umano e reale attraverso il vetro, sterile, di un pc o di uno smartphone. Con quanto viene prodotto in strada, invece, questo non è possibile: la loro realizzazione viene fatta per strada, sotto gli occhi di tutti, e quello che viene lasciato è un segno consapevole che tutti possono vedere e commentare, assecondare o criticare. Fare qualcosa sul muro e farla in quel momento davanti a tutti, insomma, ti porta a comprendere se quello che stai facendo ha un senso o no”.

E, in effetti, Bob l’ha capito proprio sul posto: “Le persone arrivavano e provavano sensazioni, parlavano tra loro, sentivano l’odore della vernice, il proprietario del locale che ha dato il muro ne è rimasto orgoglioso. Sul momento non sono mancati i commenti negativi, soprattutto dalle persone anziane: all’inizio guardavano male quelle strane righe, credevano che fosse qualcosa attinente al calcio. Tuttavia, la cosa bella è stata potere parlare con queste persone, far loro codificare il messaggio e far cadere così la geometria, senza scazzi sui social o incomprensioni di sorta”. Sul lungo periodo, invece, la maggior parte dei feedback negativi sono arrivati proprio dal web, quasi tutti da gruppi dedicati al graphic design: “Colleghi – prosegue – che credono di essere meri esecutori di grafica senza capire che fare il designer significa essere anche mediatore culturale. Questa cosa riconferma la mia antica paura che il nemico del graphic designer è il graphic designer”. 

Già, perché oltre al fine antropologico, non dimentichiamo che l’altro obiettivo del progetto è stato quello di riuscire a identificare un territorio variegato con un simbolo semplice in cui le persone si potessero riconoscere. Per questo, Bob ha chiesto ad amici e parenti di stabilire chi, tra il Liotro, la Sant’Agata e l’Etna, rappresentasse al meglio la città di Catania: sulla base delle risposte, ha deciso di prendere l’Etna pensandolo come vera e propria presenza ingombrante. “Fare branding territoriale – mi dice – non significa fare qualcosa per il turista ma per il residente, perché il turista si porta dietro quello che il residente si porta dentro”. 

Quindi, per riassumere: a oggi, il pezzo è lì a decantare ed è entrato a far parte di un tour cittadino con l’appellativo di “opera si street art”. In più ogni giorno Bob riceve fotografie di come il suo simbolo piaccia e si trasformi in nuovi oggetti e progetti. “I prossimi passi? Non so quali saranno. Spero che sfugga dalle mie mani, perché finché sarò io a riprodurlo il progetto sarà solo di Bob e vorrei invece sapere dalle persone quale sarà il suo futuro”. 

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