Inaugura “Disturbe”, la personale di Biancoshock alla Wunderkammern di Milano

di Clara Amodeo

Finalmente un artista che ha qualcosa da dire. Sembrerà una riflessione banale, ma quando ho conosciuto Biancoshock (almeno in via epistolare) anni e anni fa, è quello che ho pensato guardando la sua produzione e scambiando con lui allucinate e spassose chiacchiere. In realtà, con l’andare del tempo, ho capito che non è così facile trovare artisti contemporanei che abbiano la capacità di veicolare messaggi che non siano smaccatamente politici (necessari e rari pure loro, per carità, ma forse più “facilitati”). Con l’andare del tempo ho capito che Biancoshock sa come portare il fruitore a interagire, concettualmente e fisicamente (specie nella realtà cittadina e urbana), con l’opera e, da lì, far iniziare una riflessione, un’associazione di idee più o meno lunga che porta il fruitore a compiere più ampie, per quanto sempre personali dell’artista, considerazioni politiche, sociali, culturali e legate al mondo e al sistema dell’arte.

Non è un caso. Leggo sul comunicato stampa della mostra “Disturbe” (di cui, giuro, a breve vi parlo), che “Biancoshock si affaccia per la prima volta all’Arte Urbana nel 1995 esplorando il mondo del Writing e della Graffiti Art, ambiti, questi, con cui l’artista impara a leggere i codici visivi e sotterranei dello spazio cittadino e a reinterpretarli in chiave ironica e provocatoria. Dal 2004 inizia il suo progetto di Urban Hacking, durante cui i suoi interventi si focalizzano su oggetti quotidiani che normalmente passano inosservati, ai quali l’artista dà un nuovo significato.

Il 2014 costituisce una svolta nella carriera dell’artista: dopo dieci anni di attività indipendente, Biancoshock sente la necessità di dare alla sua arte un nuovo nome, che includa sia il carattere Urban sia l’attitudine performativa delle sue opere. Fonda così l’Ephemeralism, un “non-movimento” che indica tutte quelle opere di Arte Pubblica che esistono nello spazio per una durata molto limitata, ma che persistono nel tempo grazie alla documentazione fotografica e video. Ad oggi, l’artista ha realizzato più di mille lavori documentati in 27 paesi nel mondo.

Oltre alla reinterpretazione ironica e disimpegnata dello spazio urbano e alla narrazione sul mondo del Writing e dell’Arte Urbana in generale, le opere di Biancoshock affrontano tematiche di attualità sociali e politiche più complesse, che mettono in luce le grandi contraddizioni del nostro secolo, le implicazioni delle nuove tecnologie e dell’economia consumistica sulla società odierna e la condizione dei migranti e dei senzatetto”.

E da qui arriviamo, finalmente, alla nuova personale di Biancoshock alla Wunderkammern di Milano: stasera alle 18.30 inaugura, infatti, “Disturbe”, che, con la curatela di Giuseppe Pizzuto, consacra il quindicesimo anno di attività dell’artista. La mostra ripercorre tutte le fasi, le discipline e le tecniche che hanno caratterizzato fino a oggi la sua produzione: saranno esposte installazioni, documentazioni di opere site-specific realizzate in strada, sculture, videoperformance, oggetti di scena realizzati dall’artista, stampe in tiratura limitata e opere uniche.

In occasione della mostra, poi, Biancoshock presenterà la sua prima monografia, “Dipolo”. Il volume, pubblicato da Wunderkammern e scritto dall’autore Pietro Rivasi, raccoglie una selezione di lavori realizzati dall’artista tra il 2004 e il 2019, sintetizzando più di 15 anni di ricerca ed oltre un migliaio di installazioni urbane.   

Chiudo con una riflessione nata proprio ieri sera con un amico prima che un socio. Dopo avere visto le foto (e relativi prezzi) delle opere/installazioni in vendita, mi ha così provocata: “Tu ti esprimi in maniera forte come Biancoshock e, commercialmente, le foto le potresti fare tu prima che l’opera scompaia.. quindi? Compri l’aspetto ludico ma non comprendi l’azione. Svilimento totale della funzione di provocazione”.

E, da qui, abbiamo aperto il vaso di Pandora: è possibile, oltre che giusto, chiudere in galleria espressioni che hanno senso e valore solo in strada? E, dunque, rendere sistemica la produzione di chi, come Biancoshock, è tipicamente fuori dal sistema (artistico, in primis)? D’altro canto, come può una galleria (e, dunque, il sistema artistico) riconoscere all’artista una professione, oltre che il merito, nel caso specifico di Biancoshock, della sua provocazione? Domande ataviche, si sa…

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