“La fabbrica della Street Art – l’esperienza del castello di Zak”: l’intervista a Giovanni Candida

di Clara Amodeo

Nella sua bella casa-wunderkammern milanese ci sono due opere incorniciate e appese in una stanza un po’ nascosta che recano due indizi: la firma dell’autore, Popay, e la data, 11.4.2006. “Durante un viaggio a Parigi c’era questa mostra collettiva sotto casa nostra. Io e la mia famiglia abbiamo deciso di visitarla assolutamente per caso e tra le tante opere esposte ce sono piaciute due perché sembravano i ritratti mio e di mia moglie. Le abbiamo acquistate, portate a casa e appese qui. Una volta a Milano, memore della mostra parigina, ho iniziato a fare foto a questa cosa che mi piaceva tanto. Non avrei mai immaginato che da un acquisto fortuito potessero nascere 13 anni di passione per quello che è il meraviglioso mondo della Street Art”.

A parlare è Giovanni “Gianfranco” Candida, aka WallsofMilano, con cui ieri sera ho condiviso un ricco menu casalingo a base di trofie al pesto, orata al forno con patate e olive, frutti di bosco, Mezcal e Street Art in abbondanti quantità. L’occasione è stata duplice: da una parte, passare una serata in compagnia di un amico (e relativa consorte) chiacchierando di viaggi, amicizie comuni e politica. Dall’altra, intervistare l’autore dell’opera “La fabbrica della Street Art – L’esperienza del castello di Zak”, il nuovo libro di WoM oggi in uscita in libreria, che racconta, attraverso le sue immagini e i racconti di chi c’è stato, l’evoluzione del gigantesco edificio all’uscita di Comano dal 2014 a oggi.

A quando risale il tuo primo incontro con la fabbrica della Street Art e con Zak?

È impossibile non notare quell’edificio: la fabbrica si vede dalla tangenziale all’uscita di Cormano ogni volta che ci si passa. Incuriosito dal luogo, nel 2014 provai a girarci attorno senza tuttavia trovare un’entrata. Una volta, però, passando di lì vidi un lavoro di Tenia: lo chiamai e gli ho chiesi di poterci entrare. Tenia mi rispose che non ci sarebbero stati problemi perché conosceva la persona che ci abitava: ci demmo quindi appuntamento al castello ma Tenia non si presentò. Mi diede, tuttavia, il numero di Zak, che chiamai: Zak mi aprì e io entrai. Le prime volte che bazzicavo il luogo c’erano “solo” i primi lavori di Tenia, Canemorto e Tilf. Scoprii in quell’occasione che i primi a essere entrati lì sono stati i Canemorto con Ema Jones che una sera saltarono dentro e vennero affrontati da Zak (è normale se vivi e dormi lì, anche perché allora lo spazio era frequentato da personaggi vari). Stando ai loro racconti, Zak li ha affrontati e loro per tutta risposta gli hanno detto che volevano solo dipingere e così è successo. Per altro, a Zak piacque quello che fecero e loro tonarono, portando altra gente tra cui Tenia. Da quel momento il posto è conosciuto nel mondo, ci vanno da ogni lato del globo per fare graffiti, video, photo shooting e corsi.

Qual è stata la tua prima impressione circa il luogo?

Sono rimasto sorpreso la prima volta perché in questa fabbrica abbandonata lo spazio era organizzato e pulito, più pulito della camera di mio foglio, per dire. 

E la tua prima impressione circa Zak?

Zak viene da una famiglia di Tunisi ed è una persona molto accogliente. È anche un personaggio il cui racconto di vita è un avvincente, affascinante, anche nella sua vita quotidiana: se ci pensi, vive in una situazione estrema senza acqua, corrente, riscaldamento. Poi, frequentandolo, ho anche capito che Zak èanche persona di grande cultura, cita i classici, è un poeta come la tradizione araba vuole, parla diverse lingue, tra cui diversi dialetti arabi. 

Cosa ti ha spinto a continuare la frequentazione di entrambi?

Da un lato, mi interessava il mondo dei graffiti e della Street Art che gravitano attorno al posto, anche se non ci sono i grandi della scena internazionale. Eppure, mi è sempre piaciuta questa situazione di giovani che dipingono in un luogo abbandonato, tra cui molte sono le donne. Queste ultime mi hanno sempre detto dinon sentirsi in pericolo ma, al contrario, di percepire tranquillità e protezione nel castello. Per altro, è abbastanza inusuale nel mondodella Street Art trovare delle donne, ma qui il 50% dei lavori è loro, sono ragazze giovani che vanno lì e in tutta sicurezza dipingono. Molte, addirittura, dipingono per strada dopo essersi fatte la mano lì. D’altro canto c’è certamente l’amicizia con Zak, che è persona di cuore, ospitale e davvero inusuale, con cui ho stretto una bella amicizia (non senza qualche inevitabile scazzo).

Quali artisti hai conosciuto lì?

Prima di tutto quelli per cui stravedo: i Canemorto. Poi Eliana che oggi copre tanto del lavoro delle pareti, e tutte le ragazze che hanno lasciato la loro opera all’interno del castello, OMP, Tilf, Riky Boy, Dott. Porka’s..

Una delle domande che mi fanno più spesso è “come si entra?”. Insomma, diciamolo una volta per tutte: come si entra nel castello di Zak?

Per entrare, si contatta Zak su Facebook, si porta acqua potabile (lui usa quella piovana per lavare i piatti ma non può berla) ealcuni generi di prima necessità. Quello che è bene portare, tuttavia, è l’attitudine giusta per entrare in quella che è una casa. Molti, infatti, hanno l’idea di andare a vedere una fabbrica abbandonata quando, in realtà, quella è la casa di Zak. Per questobisogna comportarsi come se si stesse andando a visitare un luogo privato: andreste mai a casa di un amico a buttare per terra la roba, comportandovi in modo irrispettoso, degli spazi come anche degli altri? Bisogna poi capire che Zak è una persona che ha trasformato quel posto nel “castello di Zak”: vai su Maps e cerca cosa c’è a Cormano. Troverai il museo del giocattolo, la casa del Manzoni e il castello di Zak. Non è da tutti trasformare un posto abbandonato in un luogo che ha visibilità globale, in un punto di riferimento per visitare il quale viene gente da tutto il mondo. Al castello Ghali ha girato il video di uno dei suoi maggiori successi “Habibi”. Addirittura la scuola del cinema di Milano ha fatto un corto su di lui, che si intitolava “Harissa” mentre le registe Isabella de Silvestro e Laura Loguercio hanno presentato un trailer alla giuria del festival della letteratura di Mantova che racconta la storia di Zak e della sua casa. 

Qual è l’opera a cui sei più affezionato del castello di Zak?

Sono molto legato alle opere dei Canemorto, ci cui sono grande fan. Non so bene come mai me ne piace una loro in particolare, che raffigura un uomo in piedi e uno sdraiato, al punto che una notte me la sono anche sognata (un po’ come accadde la prima volta che andai d Bo e Microbo: in quell’occasione vidi talmente tante opere che ne uscii confuso, poi quella stessa notte ne sognai una e oggi quella è l’opera che campeggia nel mio salotto). Sono legato anche all’opera di Crea, di cui in casa ho sia la foto sia un originale un po’ modificato. D’impatto è poi il lavoro di Pneone, che rappresenta la vita di Zak in bilico su una piramide rovesciata tra passato, presente e futuro, tra Tunisia e Italia e sempre di fianco a un’altra opera di Penone c’è una gabbia con una mela dentro e lo sportello aperto opera di Zak. La mela all’interno rappresenta Zak in una gabbia che potrebbe essere una prigione, o la gabbia del castello dove vive, cui fa da contraltare lo sportello aperto per fuggire; la mela, poi, è vera e nel tempo si è avvizzita e seccata ed è la metafora della vita, motivo per cui anche quest’opera mi piace molto. 

Mi racconti un po’ del libro?

Il libro è un racconto degli ultimi 5 anni al castello con una scelta artistica per cui sono presenti le mie foto con alcune poesie di Zak, oltre che cinque contributi di persone passate per il Ccstello, tra cui Moni Ovadia, Ghali, Claudia Zanella, e Tatiana Cocca, ex sindaco del Comune di Cormano. L’editore è Meltemi, di Mimesis, da cui sono arrivato per caso, per via traverse: ho conosciuto l’editore, a lui è piaciuto il progetto e abbiamo iniziato a svilupparlo. Del libro, poi, ci sarà una presentazione ufficiale a BookCity il 16 novembre alle 14.30. In realtà c’è un altro progetto editoriale, che è stato momentaneamente accantonato per fare spazio a questo, che è quello dei miei 13 anni di fotografie di Street Art a Milano. Ma tranquilli, uscirà anche lui.

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