Lo ammetto, ci ho messo moltissimo (circa un mese) per buttare fuori questo articolo su Napoli. Ma le motivazioni sono state tantissime, molte professionali e alcune personali (non ultimo il furto del telefono, che mi ha portato via contatti e, soprattutto, foto). Ma grazie al (poco) tempo a disposizione e all’aiuto di Miriana per l’apparato fotografico, è giunto il momento di raccontare un viaggio che sapevo fin dall’inizio mi avrebbe affascinata al punto di farmi innamorare di nuovo di una città: l’ultima, in ordine di tempo, per la quale ero andata letteralmente sotto di testa era stata Istanbul.
A sto giro, invece, Napoli è stato quel ragazzaccio che mi ha preso il cuore e l’ha riempito di storie, colori, sapori, persone e progetti: un’esplosione, resa possibile dai miei compagni di viaggio e dalle persone, amiche, che ho incontrato in città, le stesse che mi hanno accompagnata, volenti o nolenti, alla scoperta del capoluogo campano.
Un po’ come è successo con Silvia Scardapane, di Inward, che non ha solo accolto noi di Another Scratch In The Wall nella sede della loro realtà, ma ci ha anche fatto fare un doppio giro in città e uno nella realtà del parco dei murales a Ponticelli. Quest’ultimo, che sorge nella periferia Est di Napoli, ha una storia lunga e affascinante insieme che vale la pena di raccontare.
Il complesso residenziale (in campano “parco”, appunto) era nato dopo il terremoto del 1980 e, oggi, ospita 160 famiglie. 160 famiglie, dicevamo, inserite in un contesto abitativo e sociale non facile, caratterizzato da degrado (quello tipico dei casermoni di periferia), abbandono scolastico, micro criminalità, spaccio. Qui, nel 2015, è iniziato un programma di riqualificazione artistica e rigenerazione sociale su iniziativa e a cura di INWARD Osservatorio sulla Creatività Urbana che interessasse i locali a più livelli.
Come ci spiega Silvia, la prima opera in ordine di tempo a essere stata realizzata nel parco (che oggi fa bella mostra di sé anche tra le fermata della Circumvesuviana, uno dei pochi mezzi di trasporto che consente di raggiungere la zona), è stata quella di Jorit, dipinta l’8 aprile, Giornata internazionale dei rom, sinti e caminanti. Per l’occasione il locale Jorit, per la campagna nazionale “Accendi la mente, spegni i pregiudizi” promossa dall’ UNAR – Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali – Dipartimento delle Pari Opportunità – Presidenza del Consiglio dei Ministri, insieme a MIUR e ANCI, nell’ambito della “XI Settimana d’azione contro il razzismo” con il contributo tecnico dell’Assessorato all’Arredo e al Decoro Urbano del Comune di Napoli, ha dipinto “Ael. Tutt’egual song’e criature”: il volto di Ael, un mix di una bambina Rom con i tratti di una scugnizza, ribattezzata poi dai locali Zingarrella, è accompagnato dalla presenza di libri e giochi (come la trottola, o strummolo), i mezzi migliori per integrare i migranti più giovani.
Ed è proprio il gioco a traghettarci direttamente alla seconda opera, “A pazziella ’n man’ ‘e criature” realizzata da Zed1 nel luglio dello stesso anno. “Quando gli operatori sociali partner del progetto rilevarono lo smarrimento dei bambini per la trottola, simbolo del gioco tradizionale, accostata ai libri dell’opera di Jorit, il lavoro di Zed1 divenne obbligo morale”, spiegano direttamente sul sito del parco. E non è dunque un caso che Zed1 abbia voluto contrapporre la maschera napoletana e il Pinocchio legato all’origine toscana dell’artista al joystick di una consolle, lo stessa che spezza i primi due: in questo modo, infatti, il fiorentino ha voluto sottolineare quella perdita del calore e della piccola socialità che caratterizza molti ragazzi di oggi, inserendoli così in un mondo virtuale in cui gli stessi ormai sprofondano in un senso di forte irrealtà.
Di libri, invece, si parla nell’opera di Mattia Campo dall’Orto, “Lo trattenemiento de’ peccerille”. Due bambini sono rappresentati con un libro tra le mani, intenti a leggerlo, e sopra alle loro teste sono raffigurati gli abitanti del parco, resi straordinari proprio come solo la lettura creativa sa fare. Un po’ come, a suo tempo, ha fatto “Lo Cunto de li cunti” di Giambattista Basile, il cui sottotitolo dà nome alla grande facciata. Insomma: se i bambini leggono tanto, potranno conoscere diversi modelli di vita cui ispirarsi, potendo anche tramutare l’ordinario in straordinario. L’opera è stata resa possibile anche dal lavoro sui minori della zona a cura di Psicologi in Contatto Onlus, all’interno del contesto dove si sarebbe realizzata l’opera, ed è stato sostenuto dal Forum Regionale della Gioventù Regione Campania e con il contributo tecnico dell’Assessorato all’Arredo e al Decoro Urbano del Comune di Napoli. A seguito della ricerca e dell’opera, poi, è stato attivato un progetto di bookcrossing condominiale: il libro donato per lo stimolo alla lettura è stato proprio “Lo Cunto de li Cunti”, regalato, per l’occasione, a quattro ragazzini del Parco dei Murales da Domenico Basile, scrittore e discendente diretto di Giambattista.
E sempre da un progetto sociale nasce anche la quarta opera, “A Mamm’ ‘e Tutt’ ‘e Mamm’”, realizzato ad agosto 2017 da La Fille Bertha. Dopo aver attivato nei mesi precedenti laboratori creativi con bambini, adolescenti e mamme del parco, i volontari del Servizio Civile Nazionale e il team di INWARD hanno infatti trasformato le idee di una comunità in una coloratissima opera d’arte. Tramite attività di disegno, fotografia e lettura sono difatti emersi nuovi valori, passioni, coraggio e parità di diritti: questi gli input raccolti da La Fille Bertha durante uno degli incontri laboratoriali, che ha rielaborato gli stimoli dei residenti del parco ed anche le relative suggestioni cromatiche da impiegare nel nuovo murale. Non è un caso che a essere rappresentata è l’icona di una Madonna della Misericordia in chiave moderna che protegge ed accoglie due minori, la stessa che, nella metà del Quattrocento, Piero della Francesca, aveva reso celebre con il suo polittico. “La maternità, dunque, come espressione naturalissima della femminilità, semplice e nobile ad un tempo, viene celebrata e restituita da La Fille Bertha con l’intento di affermarne anche il valore sociale”.
E, da qui, un altro fil rouge che porta all’opera di Daniele “Hope” Nitti, realizzata nell’ottobre 2017: “Je sto vicino a te”, omaggio a Pino Daniele, con l’aiuto dei volontari del Servizio Civile Nazionale rappresenta l’importanza e il valore dello stare bene insieme, della collaborazione e della condivisione. Il tratto è quello tipico di Daniele Nitti che, su uno sfondo blu stellato, ha raffigurato un villaggio con otto case (come otto sono le pareti decorate), viuzze e la chiesa al centro, il tutto popolato da bambini, ragazzi e adulti intenti a svolgere anche le più semplici mansioni di vita quotidiana. Le case, poi, sono collegate le une alle altre da tanti piccoli ponti, gli stessi che un tempo solcavano le acque del Sebeto che bagnavano il territorio orientale di Napoli prima che nel XX secolo venissero definitivamente cancellate dal rapido sviluppo industriale e dai quali deriva l’attuale nome del quartiere, Ponticelli. L’intervento è stato curato da INWARD con il supporto del MiBACT e di SIAE, nell’ambito dell’iniziativa “Sillumina – Copia privata per i giovani, per la cultura”.
Procedendo nella camminata ci si imbatte in “Chi è vuluto bene, nun s’o scorda”, firmato nel 2016 dal duo Rosk&Loste. Due bambini giocano a calcio proprio di fronte a una superficie di 400mq, una distesa di cemento tramutata per l’occasione in regolare campetto. Interessante, poi, la scelta che ha investito la raffigurazione delle maglie indossate dai bambini: quella tutta azzurra è il simbolo del Napoli, squadra tifatissima dagli abitanti locali, e l’altra a fasce verticali bianche e celesti è quella dell’Argentina, la squadra dell’eroe locale Maradona. E proprio Maradona fornisce l’assist per il titolo dell’opera, in riferimento alla sua ripresa della già popolare espressione “Chi ama non dimentica”. L’opera è stata prodotta con il sostegno di Ceres, nell’ambito del programma nazionale “In strada c’è colore”, con il contributo tecnico dell’Assessorato all’Arredo e al Decoro Urbano del Comune di Napoli.
Penultima opera è “‘O sciore cchiù felice”, dedicata alla conoscenza del territorio al punto di essere ispirata alla ricerca di Aldo Merola, botanico tra i più rilevanti direttori del Real Orto Botanico di Napoli, a cui sono intitolati il complesso residenziale e il lungo viale che costeggia il parco stesso oltre che la verdissima Villa Comunale Fratelli De Filippo. “Protagonista della grandissima opera – si legge sul sito – è un Gigaro Chiaro (Arum Italicum), specie a distribuzione mediterranea, presente nel Vallone di San Gennaro, che fiorisce a marzo, quando l’opera d’arte è stata avviata. Nell’antichità, il Gigaro era considerata una pianta magica, apotropaica, capace di allontanare gli spiriti maligni. Proprio per questo veniva posto nelle culle per proteggere i neonati e si diceva potesse donare amore a chi in amore era più sfortunato. Il titolo, ispirato ad una canzone degli Almamegretta, vuole essere un invito a rigenerare la propria coscienza partendo dalla conoscenza: il fiore più felice, dunque, è quello capace di costituire il proprio territorio dove maggiormente saprà trarne gioia, beneficio e nutrimento”. Non poteva che essere Fabio Petani l’autore dell’opera che, con il suo tratto inconfondibile e con la sua passione floreale, ha chiuso il pezzo nel 2018.
E sempre in quell’anno è stato portato a termine anche l’ultimo (per ora) murale dell’omonimo parco, “Cura ‘e paure”, realizzato da Zeus40. Dedicato al senso e all’importanza della “cura”, le silhouette colorate cono, in realtà, tratte da Ilenia, Francesco, Giovanni e Stefania, abitanti reali del parco dei murales che hanno partecipato con gioia alla creazione di questa nuova opera, posando come modelli per l’artista attraverso gli scatti della fotografa Vasiliki Ioannou. Una famiglia immaginaria, insomma, o la famiglia del parco dei murales, prendendo ognuno dei suoi componenti da una delle quattro grandi palazzine. E se di “cura” si vuole parlare, questa è presente anche nella celata poesia che fa da sfondo all’opera, un invito che si conclude non a caso con “abbi cura che la bellezza abbia cura di te”. Il titolo in lingua napoletana prende in prestito, invece, una espressione legata, ancora una volta, al mondo della musica partenopea, rifacendosi ad una nota canzone dei 24 Grana, “Kevlar”.
Sin da principio l’opera nasce da un importante segnale di cura del territorio perché realizzata grazie a tutti coloro che, tra privati ed aziende, hanno partecipato alla raccolta fondi lanciata su Meridonare – Fondazione Banco di Napoli, accompagnandosi a laboratori ludico-creativi sviluppati con la partecipazione dei volontari del Servizio Civile Nazionale e di tanti donatori.
E se credevate che tutto questo fosse abbastanza, beh vi sbagliavate: l’indomani, sempre assieme a Silvia, abbiamo girato per le strade del centro storico di Napoli alla ricerca non solo della Madonna con la pistola di Banksy messa sotto vetro ma anche della Madonna in estasi (consu)mistica che era stata originariamente realizzata (e poi coperta) in via Benedetto Croce Per non parlare dei tantissimi artisti, noti o meno noti, locali o di altre città dello Stivale, italiani o stranieri, che hanno lasciato il loro segno attraverso le più disparate tecniche nei vicoli di Spaccanapoli, dei Quartieri Spagnoli e oltre. Qualche nome? Zilda, C215, Trallallà, Cyop&Kaf, Jorit, Mono Gonzales e Tono Cruz (questi ultimi, per la verità, sulla facciata del centro sociale Mezzocannone Occupato), Alice Pasquini, Francisco Bosoletti, Blub, Ernest Pignon-Ernest, Diego Miedo e molti altri.
Ultima ma non meno importante (anzi, direi la più suggestiva) è stata la visita all’Uè – Underground Eccetera, festival Mediterraneo del fumetto e delle autoproduzioni a stampa (a tema “Overtour”) inserito nella meravigliosa cornice dello Scugnizzo Liberato. Ossia? Si tratta di un edificio nato come monastero, trasformato in carcere minorile (il Filangeri) oltre che in scuola e dal 2000 acquistato dall’Università navale con lo scopo di destinarla a un uso accademico. Ma l’intenzione di avviare dei lavori di ammodernamento è rimasta, appunto, solo un’intenzione e così, il 29 settembre 2015, l’organizzazione Scacco Matto ha occupato e riaperto l’edificio dopo circa un ventennio di abbandono. L’edificio è davvero enorme e vanta al suo interno un cortile, cinque piani (in cui non mancano le celle), una sala teatro voluta da Eduardo De Filippo e intitolata a lui, una sala proiezioni, una chiesa e numerose stanze. Qui fanno bella mostra di sé, tra le altre, anche le opere di Zilda e Zolta, mentre è stato davvero toccante ritrovare, in alcune stanze appartate, i verbali che appuntavano l’incarceramento dei piccoli e risalenti alla degli anni Venti.