La mostra “Milan is beautiful” di Mr. Brainwash? Peggio dei video dei gattini su Facebook

di Clara Amodeo

Dalla Deodato, la galleria milanese che sta ospitando la sua famosissima personale “Milan is beautiful, descrivono Mr. Brainwash come un artista positivo, un uomo coraggioso, un intellettuale a 360 gradi che ha fatto dell’arte e della ricerca artistica la sua missione di vita.

Era la scorso 4 aprile quando, contemporaneamente con il finissage della mostra di Banksy e la relativa performance di TvBoy al Mudec, inaugurava la personale di Thierry Guetta negli spazi pettinati di via Santa Marta. L’idea era, ovviamente, quella di passare da entrambi: una storica dell’arte con l’amore per la cronaca deve essere sempre sul pezzo, visitare tutto e farsi un’idea del mondo, anche di quel mondo che proprio non le piace. Eppure, questa visione impegnata (e impegnativa) della vita è stata schiacciata, 11 giorni fa, dalla noia: la stessa noia che pervade una persona che sente che mezza Milano si sposterà a mò di gregge dal Mudec alla Deodato, giusto per il gusto di annunciarlo sui social, giusto per il gusto di farsi un selfie, giusto per il gusto pruriginoso di vedere (o, almeno, provarci) dei tizi che fanno la Street Art.

Un discorso snobista? Oui, touché. E così, mossa dal senso di colpa, durnte il week end del Fuorisalone ho deciso di darmi una mossa e andare a vedere questa mostra evento per conoscere il più possibile lo stato dell’arte del momento e farmi un’idea di quel che c’è in giro. Spronata, soprattutto, dalle parole di Rendo, che in modo molto più diligente di quanto io abbia fatto è andato per tempo a vedere la mostra. E che mi ha detto: “Vieni a vederla! Anche se è tempo buttato via, almeno ti rendi conto di cosa non è arte”.

Già. Giusto per dare due info pratiche, la mostra si snoda nelle due sedi della Deodato e riprende, seppur in maniera molto ridotta e con pezzi nuovi, la sua prima esibizione “Life is Beautiful”, che si tenne nell’estate 2008 in un gigantesco magazzino abbandonato a Los Angeles. In quell’occasione, a racconatare l’impresa di Mr. Brainwash c’erano anche le telecamere di Banksy, che proprio a Thierry Guetta ha dedicato il docufilm “Exit through the gift shop”, lo stesso che ha consacrato l’artista di origini francesi alla fama e alla gloria. Del resto, non stiamo parlando di uno del tutto avulso dalla cultura della strada: amico “indotto” di Banksy, prima di diventare Mr. Brainwash Guetta era un mezzo squattrinato con la passione per i video. Cugino del francese Space Invader, nella sua breve carriera di video maker ha conosciuto tutti i grandi, come il docufilm “Exit through the gift shop” dimostra.

Eppure… “La mostra – mi dice Rendo – è ciò che ci aspettavamo: una riproposizione dello stereotipo della Street Art. Mr. Brainwash è un bravissimo marketer: produce cose sapendo già ciò che la gente si aspetta di vedere da lui. Da spettatore, quando arrivi alla mostra, vedi ciò che ti aspetti, come quando vai in una località turistica e ti aspetti di trovare, che ne so, a Napoli Pulcinella che fa la pizza, e lui fa quello. Con questa tecnica non costringe le persone a sforzarsi a pensare ma dàloro delle risposte preconfezionate, ossia nulla di nuovo. Non c’è arte in quello che fa ma solo pubblicità, marketing, motivo, questo, per cui vende”.

Ossia? “Lui – procede Rendo – ricicla tutto quello che già esiste nell’immaginario collettivo, non produce nulla di nuovo: Keith Haring, Banksy, la Pop Art, Albert Einstein, Charlie Chaplin, prende tutto, lo mischia e ne fa un frullato senza senso, senaza una logica che non sia quella di confermare quello che la gente si aspetta. Hai in mente i video dei gattini su YouTube, che vanno di brutto e che hanno milioni di like? Ecco, lui fa i video di gattini inversione Street Art: a chi non piacciono i gattini? Piacciono a tutti! Ma sono arte? No. E lui è un gattinaro furbo”.

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