NemO’s a Torino: l’opera al Teatro Colosseo e la mostra “Umanimali” alla Square23 Gallery

di Clara Amodeo

Nello stesso giorno in cui si chiude il suo intervento sui muri del Teatro Colosseo, si apre anche la sua mostra alla Square23 Gallery. Parliamo di NemO’s, l’artista italiano (ma da tempo presente anche sulla scena internazionale) che fa gravitare ogni sua opera attorno a un’icona dal fortissimo (e a tratti disturbante) aspetto: un personaggio apatico, occhi che fissano il vuoto e pelle molto chiara.

Lo stesso che dallo scorso 8 aprile campeggia proprio sui muri del Teatro Colosseo, in via Bidone angolo Via Madama Cristina a Torino, interagendo con i lavori “Before I die… Black Dream Wall” di Andrea Spoto, su cui chiunque con gessetti colorati può annotare un’idea o un pensiero, “The Big Bear”, un enorme orso realizzato con rifiuti assemblati a cui il portoghese Bordalo II ha affidato il suo messaggio critico, e il grande cerchio “No Name” che rappresenta le vie di San Salvario, realizzato dall’olandese Zedz.

Eppure, come dicevamo, oggi è anche il giorno in cui inaugura alla Square23 Gallery la mostra la personale “Umanimali”: al centro della sua riflessione c’è, ancora una volta, l’uomo (inteso come maschio) che, in una figura quasi informe e sofferente, esprime con un fondo di malinconica ironia il malessere, il degrado, il disagio della nostra società e dell’uomo moderno. Immagini sempre forti, pelle nuda, occhi smarriti, che osservano inermi un mondo sull’orlo del fallimento.

“Bocca socchiusa – scrive nel testo curatoriale Valentina Cara – in cerca d’ossigeno, sguardo fisso e vacuo, braccia esili, pancia e culo flaccidi, grasso e emaciato allo stesso tempo, svuotato di tutto, rigonfio di niente: è questo il prototipo d’uomo di NemO’s. L’artista racconta l’individuo come “Animale sociale” che si culla nel languore della sua natura, incastonato nell’attualità che lo circonda e lo annega in dinamiche becere, schiavo di un dualismo che logora: far parte del valzer sociale e ballare o rifiutarlo alienandosi, urlando senza voce la disumanità umana.
Uomini annodati tra di loro, rannicchiati in sé stessi, pianti dai bulbi oculari, fatti a pezzi e ricomposti, portati a spasso come buste della spesa, squarciati nel petto per svuotare il sudiciume che hanno dentro; sia vittime sommesse sia carnefici spietati. NemO’s (di Nessuno) non mostra mai il suo volto: “Perché dovrei? La mia parte estetica è casuale, io sono molto più simile a quello che disegno, io sono quello che disegno”.

Una scelta, questa, insita nel proprio nome, che incarna la precisa volontà di farsi rappresentare dalle sue opere ben più che dalla sua persona: esso, infatti, deriva dalla serie di fumetti “Little Nemo in Slumberland” (“Il piccolo Nemo nel Paese del dormiveglia”) del disegnatore statunitense Winsor McCay, e in particolare dal protagonista, un bambino che ogni notte sogna fantastiche avventure.

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