The Hate U Give Little Infants Fucks Everyone, disse 2Pac, rendendo il suo Thug Life un vero e poprio mantra, spesso malinteso, della cultura Hip Hop. Nulla di più vero: ho spesso riflettuto con amici psicologi, logopedisti, medici, storici ma anche persone che hanno fatto dell’Hip Hop la loro strada di vita su quanto sia vero l’assunto biblico che le colpe dei padri ricadono sui figli (che poi nella Bibbia si dica anche l’esatto opposto, beh questo è un altro discorso).
La storia dell’uomo è piena di esempi di questo tipo, a tutti i livelli della società e a tutte le latitudini: la scure della violenza, dell’odio, del razzismo, del sessimo e della repressione voluti dai “grandi”(gli stessi che credono che solo in questo modo sia possibile raggiungere un posto nella società) si abbattono indistintamente sui più giovani, i quali non beneficiano di tanta negatività ma, al contrario, ne pagano le conseguenze in termini di abbandono, solitudine, stenti, rabbia e, di nuovo, violenza, in un loop senza fine.
Ma tra tutte le storie che possiamo raccontarci, ce n’è una che è sotto i nostri occhi da tempi immemori e che è il vero specchio di una devianza che, ahimè, forse, non avrà mai fine: parlo della questione palestinese che, nel tempo, ha visto anche l’occupazione di Gaza e West Bank da parte di Israele e il ritiro “ufficiale” della Striscia da parte di Tel Aviv, la stessa che sta tuttavia mantenendo sul territorio un embargo totale che l’ha trasformato in una sorta di «prigione a cielo aperto»: nessuno entra, nessuno esce.
Ed è proprio qui che torna la dimostrazione di quanto la formula della Thug Life sia vera: secondo una ricerca condotta nel corso del 2018 dall’Organizzazione internazionale Save The Children, infatti, il 95% dei bambini di Gaza mostra oggi i sintomi di depressione, iperattività, isolamento e aggressività che la guerra ha portato. Nel corso delle interviste fatte dall’ONG ai minori, poi, il 63% di loro ha affermato di soffrire di incubi notturni, il 68% di avere problemi a dormire e il 78% ha detto di considerare come principale fonte di paura il rumore degli aerei di guerra.
“I minori – ha detto Jennifer Moorehead, Direttrice di Save the Children nei Territori Palestinesi Occupati in un’intervista – cercano di riprendersi in una situazione estremamente difficoltosa, dove negli ospedali non vi sono abbastanza letti o medicinali, dove non vi è elettricità per la maggior parte della giornata e dove i genitori fanno sempre più fatica ad andare avanti. I bambini di Gaza sono resilienti, ma devono ricevere con urgenza un maggiore supporto per superare le esperienze traumatiche. La comunità internazionale deve poter incrementare l’assistenza e introdurre maggiore supporto psico-sociale e per la salute mentale nelle scuole, nelle attività extra curriculari e nelle case. Solo facendolo immediatamente, focalizzandosi anche sulla fine dell’embargo e sull’individuazione di una soluzione duratura e giusta, i bambini avranno maggiori speranze per il loro futuro”.
Per fortuna c’è chi, a Gaza, sta portando quel “supporto psico-sociale e per la salute mentale nelle scuole, nelle attività extra curriculari e nelle case” di cui la stessa Moorehead parla proprio attaverso l’Hip Hop: la CB Crew (Camps Breakerz Crew, break-dancers of Palestine), infatti, nasce ed è presente nella Striscia di Gaza dal 2003, e svolge attività per i giovani del campo profughi di Nusseirat dal 2004. Fondatori della crew sono giovani ballerini
palestinesi che, oltre alle attività educative strettamente legate al ballo, all’Hip Hop e all’arte, sono stati in grado di radicare i legami con la società civile locale attraverso iniziative di vario genere, anche in collaborazione con l’agenzia UNRWA delle Nazioni Unite.
Eppure, anche la CB Crew non è stata esente dal pagare le colpe dei “grandi”: fino a poco tempo fa, infatti, la scuola era finanziata dalle rette mensili pagate dalle famiglie, le stesse che però oggi subiscono sempre di più gli effetti della crisi economica, con il risultato che i bambini abbandonano i corsi. Gli insegnanti, inoltre, sono retribuiti solo parzialmente e, quindi, sono costretti ad impiegare parte della loro giornata in altre attività lavorative, mettendo di conseguenza in secondo piano la loro formazione e la pianificazione delle attività di insegnamento. A questo si aggiunge la necessità di reperire fondi per sostenere i costi relativi all’affitto dei locali, la strumentazione, i corsi di danza, scrittura, musica e rap.
Da qui è nata la volontà di dare una mano ai bambini, agli insegnati e a tutte le attività svolte dalla CB Crew con un progetto pratico e voluto proprio dalla comunità internazionale. Parlo di Gaza Is Alive 2019, cordata di associazioni (tra cui noi, gli amici e soci di Grafite HB l’associazione Ya Basta! Êdî Bese! impegnata nella promozione della giustizia sociale e l’associazione Musicon e.V. che si occupa di insegnamento della musica in Germania) e privati mossi da un unico intento: quello di fornire strumenti artistici e psico-sociali agli insegnanti della CB Crew al fine di strutturare una proposta formativa che sappia utilizzare l’Hip Hop come metodo per affrontare le sofferenze psicologiche dei minori che subiscono gli effetti della guerra.
Già, ma come si fa? Il progetto ha previsto due fasi operative, avendo tuttavia sempre ben chiaro che non si tratta di un piano assistenzialista ma di un lavoro che si prefigge lo scopo di rendere indipendenti e pienamente responsabili i soggetti destinatari della formazione sul campo, creando i presupposti per un’opportunità di emancipazione economica e professionale. Ecco, dunque, le fasi previste.
1. Workshop e Jam con artisti e professionisti internazionali
Un team composto da un b-boy, una b-girl, un writer, un producer musicale, un esperto di cultura Hip Hop, un insegnante di musica, uno psicologo esperto in PTSD, un video maker, una mediatrice culturale esperta in danza-terapia e un coordinatore del progetto si recherà per 12 giorni presso la striscia di Gaza per incontrare insegnanti, psicologi e giovani del luogo: durante l’intero periodo verranno effettuati al mattino dei workshop sul rapporto tra intervento psico-sociale e Hip Hop (Graffiti Writing, b-boying, produzione musicale e mc’ing) e, al pomeriggio, dei de-briefing con insegnanti e psicologi per definire le metodologie esplorative. Al termine dei 12 giorni sarà poi organizzata una Jam dimostrativa. In tale fase gli insegnanti palestinesi riceveranno una duplice formazione: una strettamente tecnico-artistica e l’altra di tipo socio-psico-pedagogico in merito all’utilizzo dell’Hip Hop come dispositivo d’intervento per le principali psicopatologie dei bambini di Gaza. Gli insegnanti saranno affiancati da due psicologi, uno italiano e l’altro palestinese e tutte le attività avranno l’obiettivo di promuovere comportamenti positivi che lavoreranno sull’autostima, sull’umorismo e sulla creatività). Al rientro di una parte del team in Europa, inizierà la produzione di un video documentario sulle attività svolte, da proiettare per raccontare l’esperienza ai finanziatori, alle associazioni interessate ed al pubblico in generale.
2. Monitoraggio e supporto a distanza
Con cadenza settimanale, e per la durata di 9 settimane, tutti i soggetti coinvolti si incontreranno in video conferenza per fare il punto della situazione, analizzare e superare eventuali criticità e relazionare i successi e gli obiettivi raggiunti. Tutte le attività saranno monitorate attraverso i supervisori per definire le metodologie degli interventi terapeutici specifici e secondo la diagnosi effettuata durante le attività. Sarà previsto un processo di valutazione costante e un follow up finale. Attività di ricerca, valutazione e monitoraggio saranno promosse durante tutte le fasi del progetto, mentre un report finale sarà redatto alla fine del progetto, da tutti i soggetti coinvolti.
Va da sé che un progetto tanto corposo ha bisogno di un sostegno soprattutto economico, che non solo consenta di pagare gli spostamenti e i professionisti chiamati in causa ma che permetta anche di rendere gratuiti i corsi per i ragazzi e di fornire un’adeguata retribuzione per gli insegnanti e la loro formazione continua, sia in termini artistici sia pedagogici. Per questo motivo chiediamo a chiunque voglia contribuire a portare arte, cultura e allegria a Gaza non solo di seguire gli sviluppi del progetto ma anche di donare attaraverso il portale di produzioni dal basso o attraverso bonifico bancario (tutte le indicazioni sulla pagina Facebook Gaza Is Alive 2019). Perché siamo più che mai convinti che The Hate U Give Little Infants Fucks Everyone.