Avete presente le occasioni perse? Quelle di cui capite il reale valore solo a giochi fatti? Ebbene, per me Oculus è stato così: non sempre capito, a tratti avversato, ammetto di averne pienamente compreso il portato solo dopo che le selezioni erano state chiuse, che le lezioni erano state affrontate e che il progetto aveva preso il largo. E un po’ mi sono mangiata le mani.
Ma andiamo con ordine: cos’è stato, a metà dicembre 2018, Oculus? Prima di tutto è l’acronimo di Operatori per la Creatività Urbana tra Lavoro e Utilità Sociale. Come recita il sito, “Oculus – Giovani Operatori per la Creatività Urbana è una proposta creativa per nuove figure professionali da formarsi nel settore della creatività urbana che coinvolge le città di Napoli, Torino, Bergamo, Trieste […]. Il progetto si rivolge ai giovani (20-35 anni) laureandi, laureati, specializzandi, in cerca di prima occupazione o NEET, con talento nei campi della creatività, delle arti visive, della comunicazione, della grafica, della fotografia, del videomaking, del web e delle tecnologie applicate all’industria culturale e dell’intrattenimento. Al termine del percorso i giovani talenti saranno protagonisti di una produzione creativa con il supporto di enti ed esperti di settore che sosteranno la fondazione di una nuova Associazione per la Creatività Urbana creata dai 40 destinatari diretti”.
Insomma, un percorso per i nuovi protagonisti (e professionisti) della creatività urbana, da ricercarsi tra i giovani talenti di cui l’Italia intera dispone, per un tetto massimo di 10 persone su 4 città (e che città) diverse. Nulla a che vedere con il titolo fuorviante (e causa di non pochi fraintendimenti nel giro) di un articolo “Diventare un professionista della Street Art si può: il corso per chi vuole vivere di graffiti“.
A spiegarmelo meglio ci ha pensato Luca Borriello di Inward, tra i promotori di tale attività: “Oculus è stato il progetto vincitore del bando Giovani Talenti, quest’ultimo emesso dal Dipartimento della Gioventù e del Servizio Civile Nazionale della Presidenza del Consiglio dei Ministri circa due anni fa. Capofila del progetto è stata Amesci, associazione di promozione sociale impegnata a livello nazionale e internazionale nello sviluppo del Servizio Civile, cui ci siamo affiancati noi di Inward dando al progetto il taglio della creatività urbana. Trattandosi di un bando nazionale, poi, abbiamo chiamato a collaborare all’iniziativa alcuni partner, gli stessi che fanno parte della rete delle Acu (associzioni per la creatività urbana, nata nel 2008), Il Cerchio e le Gocce di Torino, Macross di Trieste ed Xpression di Bergamo, insieme a Khorakhanè di Abano Terme”.
Ma qual è stata la causa scatenante che ha portato alla proposta di un progetto del genere? Permettere a un talento di esprimersi “solo” in quanto giovane o c’è stato di più? “La vera ragione – prosegue Luca Borriello – è stata quella di fare sì che i giovani talenti potessero fare della loro attività sulla creatività urbana non solo un hobby ma anche un lavoro. Lo scenario nazionale attuale, infatti, è rappresentato da tantissimi giovani che conoscono la Street Art, la fruiscono, direttamente o indirettamente, hanno specializzato l’occhio e ci si sono davvero appassionati. In tale condizione volevamo proporre un progetto che avesse una valenza formativa e professionalizzante, e proprio per questo motivo abbiamo optato per un vero e proprio percorso di formazione nazionale sulla Street Art da realizzarsi con una call (aperta alla categoria sopra indicata, ndr), con una selezione e con una formazione in moduli”.
Cinque, per la precisione, che Luca ha diviso in questo modo: “Una prima lezione zero, teorico-storica per ripassare le basi, e le successive 4. La prima sulle relazioni con le istituzioni locali (Comune, Municipio, territorio e comunità) e sulle modalità di presentazione di un progetto o di una richiesta di occupazione del suolo pubblico; la seconda sulla curatela, intesa come scelta dell’artista, accudimento dell’artista e lavoro con lui; la terza sulla logistica, sugli strumenti e sui materiali quali ponteggi, elevatori ma anche norme di sicurezza e aspetti tecnici importanti; la quarta sulla comunicazione e sulla promozione, prima, durante e dopo un evento”, ciascuna accompagnata da docenti di alto livello, riconosciuti per le loro qualità e la loro professionalità.
E poi? “In questo momento – mi ha detto Luca – è attivo un periodo di tutoraggio da remoto: a gennaio organizzatori e formatori creeranno in tutta Italia quattro gruppi, ciascuno specializzato su un tema trattato a lezione, mentre a febbraio partiranno due mesi di tutoraggio da remoto che fino a marzo porterà quattro tutor (una storica dell’arte, un tecnico, un social media manager e una persona che parla con le istituzioni) a supervisione le attività di ciascun gruppo, facendo anche un po’ di team building. Obiettivo dell’intero lavoro è infatti quello di realizzare per davvero un’opera: quest’ultima sarà fatta in un Comune italiano in accordo con le istituzioni e le comunità, sarà il frutto della scelta di uno o più artisti e sarà comunicata attraverso un CS e una conferenza stampa. Ad aprile, infine, i ragazzi si ritroveranno assieme ai quattro tutor, in quel momento referenti locali, per stare tutti insieme in un ostello, per fare comunità e per produrre l’opera”.
Un’operazione, quella di Oculus, che ha lasciato tutti contenti, dai docenti agli studenti (se così ci sentiamo di chiamarli). Nella città di Torino, che ha avuto il più alto numero di iscrizioni in Italia, il progetto è stato coordinato da Il Cerchio e le Gocce (che per la prima lezione ha deciso di chiamare niente meno che da Dado): “In questi anni – mi ha raccontato Riccardo Lanfranco – molta gente, in Italia, ha lavorato su questi temi. Molti sono spariti, alcuni lo fanno con continuità e da tempo, ma questi ultimi non sono tanti. Da operatori del settore che organizzano eventi da anni ci siamo resi conto che sul tema della creatività ubana non c’è formazione, non esistono testi e corsi di riferimento, quindi il rischio che si corre è spesso quello della provvisorietà e dell’improvvisazione. La linea che abbiamo così deciso di tenere è stata quella di fare un elenco di persone che fossero preparate per il corso, differenziando molto i docenti e chiedendo loro di portare delle vere case history diverse che creassero un database di casi diversi per ogni zona, città e problematica”.
Un po’ come ha fatto Fijodor Benzo, in arte Mr Fijodor, artista che ha tenuto la quarta lezione sui temi della logistica, della sicurezza e dell’uso dei materiali: “Partendo da una jam o da una facciata, ho messo in luce come bisogna parlare con le leggi e con le istituzioni e quanto tutto questo sia complesso e complicato (al punto che c’è bisogno di un ingegnere che ci metta la firma, o di qualcuno nell’associazione che rimanga sempre aggiornato sui cambiamenti della legge), come si scelgono i materiali a partire dalla pulizia del muro, passando per il fissativo e per la base con una vera e propria scheda su materiali e marche, per non parlare dell’importanza della logistica”.
Pietro Rivasi, invece, esperto del tema e curatore, a Napoli ha tenuto una lezione sulla storia del writing e dell’arte urbana più in generale, mentre a Bergamo sulla curatela di eventi legati a questo ambiente. “Il problema principale – mi ha detto Pietro – è stato dover scegliere gli argomenti chiave, proponendoli come “essenziali” di un mondo che in buona parte ancora non è storicizzato, sopratutto per quanto riguarda il periodo più recente, che è anche quello che seguo di più e che maggiormente mi affascina. Ho quindi cercato di fare presente che i miei “corsi” vanno presi per quello che sono: spunti da approfondire, legati alla mia personale visione del fenomeno, che è molto ampio, variegato e controverso, sotto vari punti di vista. In entrambi i casi ho preparato delle presentazioni con alcuni schemi, un po’ di testo, tantissime foto e alcuni video. La lezione sulla storia partiva dalle basi ormai (quasi) indiscutibilmente storicizzate del writing, per arrivare ai nomi più contemporanei come Taps & Moses, i PAL, Nug, Chintz, Zelle Asphaltkultur, KR, Revs & Cost e tantissimo Twist, con un grosso sforzo per spiegare la distinzione fra street art, writing e muralismo contemporaneo. La lezione sulla curatela è stata incentrata molto sulla mia esperienza personale e su alcune mostre internazionali che credo abbiano segnato i momenti più interessanti del rapporto fra arte urbana e istituzioni. Ovviamente anche questa è stata una selezione basata sul mio gusto personale, cosa che non ho mancato di ribadire. In particolare poi, ho cercato di sottolineare come oggi sia possibile lavorare con artisti che non hanno abbandonato “i treni per le tele”, ma che usino la documentazione dei dipinti realizzati illegalmente come opera in galleria, che è un po’ il mio campo di “ricerca”, presentando svariati esempi di come artisti che stimo declinano la loro esperienza maturata in strada, nella realizzazione di opere per gallerie e musei. Infine, grazie anche all’intervento di Mitjia, si sono discusse diverse problematiche relative alla curatela, come la logistica, la promozione e, sopratutto, il found rising”.
Tema, quello della curatela, che è particolarmente piaciuto a Matteo Bidini, fondatore della Street Levels Gallery e “alunno” a Torino: “Anche se viene da ridere a chiamarli “professori” – scherza Matteo – non posso non registrare che tra noi e loro ci sia stato uno scambio assoluto, un lavoro alla pari. In generale, sono rimasto contentissimo: ho conosciuto Dado, i ragazzi di Monkeys Evolution, Pinchestein: tutti loro si sono rivelate persone fantastiche che sapevano di cosa parlavano e lo facevano portando a esempio eventi vissuti in prima persona, con vittorie e sconfitte. Se proprio devo trovare una pecca, posso dire che il corso è durato poco: in futuro mi piacerebbe che ci fosse il modo per farlo durare di più e invitare più persone”.
Insomma, forse che ci sia la speranza per quei polli che, come me, non vi hanno preo parte? “Il nostro obiettivo – chiosa Luca Borriello – è quello di fornire sostenibilità e trasferibilità del progetto nel tempo. Oculus vuole diventare una piattaforma permanente per la formazione continua con sessioni formative”. E io non posso che incrociare le dita.