Forse non tutti sanno che questo blog è nato sotto i peggiori auspici. Quelli che io, allora studentessa al primo anno della Scuola di Giornalismo Walter Tobagi di Milano, ho augurato ai miei tutor quando questi hanno messo me e i miei compagni di master davanti a una rosa di possibilità piuttosto nutrita: “Scegliete: o aprite un blog, o aprite un blog”. Mai e poi mai avrei immaginato che un progetto tanto sofferto sarebbe diventato il mio percorso di studio e di vita e, perché no, anche un trampolino di lancio verso un nuovo lavoro.
Era il 2014 e a me il blog puzzava di vecchio solo a pensarci: il classico mezzo stantio per raccontare gli affari propri a un pubblico molto ridotto e tendenzialmente nerd, pensavo. Per questo avevo preso la loro proposta/minaccia un po’ sotto gamba, al punto che mi ero immaginata questo strumento come un contenitore di informazioni riciclate dal meraviglioso mondo dei giornali universitari (sì, all’epoca ero stata coinvolta nella direzione di alcuni giornali online pensati e realizzati dagli studenti universitari delle più disparate facoltà).
“Mi sembra un’idea francamente del cazzo”, fu la risposta, delicata e composta, di Federico Cella. “E se scrivessi di graffiti e Street Art?”, fu la mia contro proposta: un lampo, che mi fece fare un balzo indietro di 10 anni, a quando, cioè, assieme ai miei amici mezzi artisti mezzi fattoni, giravo per Milano armata di macchinetta fotografica digitale (le prime) per catturare, senza filtro alcuno, quello che i muri mi raccontavano. Più fotografavo e più scaricavo sul pc, più scaricavo sul pc e più cercavo di riprodurre su carta, più cercavo di riprodurre su carta e… più capivo che tracciare linee sui fogli e campirle di colore non era proprio la mia strada.
Eppure quella cosa mi piaceva, mi spingeva a capirci qualcosa, a visitare le mostre (storico l’ingresso del 2007 al PAC armata di bombolette con Bros che sente il rumore del piombino e mi dice: “Dopo pittiamo insieme”), a conoscere gente più o meno della mia età che dipingeva per strada. Bello era bello, ma cosa poteva spingermi a proseguire su quella via se non ero nemmeno capace di fare una “O” col bicchiere? La risposta me la diede l’università prima e il giornalismo poi: capii, piano piano, che non sarei mai diventata un’artista, ma che ero sulla buona strada per diventare a tutti gli effetti, con il mio bagaglio (a mano) di cononscenze e archivio, studiosa di un fenomeno artistico, sociale, culturale e politico di una portata non da poco.
Il metodo me lo diede l’università (Scienze dei Beni Culturali prima, Storia e Critica dell’Arte poi), lo strumento me lo fornì, invece, il giornalismo: grazie a Marco Monguzzi e alla gloriosa redazione di Nuovasesto, diventai pubblicista nel 2011 e mi allenai alla scrittura in una redazione giovane e fresca, per la quale ero diventata quella-dei-disegni-su-muro: “Clara, c’è questa menata dell’Arte Pubbllica da seguire: lo fai tu, vero?”. E così, mano a mano, entravo, anima e corpo, nel vivo della questione, incontrando e intervistando gli artisti, vedendo le loro opere, vivendo in prima persona la Street Art, leggendo il più possibile sui graffiti. Un loop, che 10 anni dopo mi ha portata a fare a Federico Cella la contro proposta a brucia pelo: “Questa mi sembra un’idea migliore”, fu la risposta di Federico.
Nacque così, 4 anni fa, Another Scratch In The Wall, il cui nome è dovuto a mio padre che, una sera a cena, molto ingenuamente mi disse: “Ci vuole un titolo che parli del muro”. Il payoff, Muri puliti popolo muto, lo vidi invece per la prima volta su un paste up di una collettiva organizzata da The Bag Art Factory nel 2005 a Bovisa. In questi 4 anni il blog (che poi oggi è un sito) è cresciuto esponenzialmente, passando dall’essere il blog dell’Amodeo a un sito di informazione sul tema dell’Arte Urbana, scritto anche grazie all’aiuto di collaboratori che hanno cndiviso su Scratch la loro voce autorevole nelle più disparate materie. Uno strumento per conoscere gli artisti e le loro opere, oltre che tutto il variegato mondo di supporter, detrattori e professionisti che vi gravitano attorno. Un mezzo che, davvero, mi ha fatto conoscere di tutto (dai più sfigati ai più noti, dagli scarsi ai cazzuti, dai nemici ai miei soci di Grafite HB) e che mi ha fatta connoscere a mia volta a persone sempre nuove alla ricerca di uno spunto in più.
Come Maurizio Di Lucchio, amico, giornalista ed ex tobagista come me, che in una Milano assolata e quasi deserta di luglio 2017 mi ha detto: “Con tutto il know-how che c’hai (sì, ha detto veramente così, ndr) dovresti pensare di fare dei tour. Inizia con me e Gianna, poi vediamo come va”. Detto, fatto: i primi tour, del tutto estemporanei, sono piaciuti sia ai milanesi sia ai non milanesi (come il gruppo di “buz” veronesi arrivati a Milano solo per sentire i miei sproloqui), al punto che una ragazza tanto folle quanto per nulla addetta ai lavori un giorno mi ha detto: “La tua idea mi piace, ti darò una mano”.
Lei è Miriana Cappella, conosciuta tramite amici comuni e senza la quale, oggi, forse non sarei nemmeno impegnata a scrivere questo post fiume: da subito Miriana ha creduto in Scratch, nella validità del progetto e forse anche nella possibilità di fare qualche soldino (ma, a questo proposito, I’m sorry, Miri): è stata lei a fondare i canali social di Scratch, gestendoli con dedizione e testarda buona fede. A lei, poco tempo dopo, si è aggiunto Lorenzo Todaro, persona importante nella mia vita e che si è spesso sorbito con la sottoscritta dosi e dosi di Street Art e graffiti in giro per l’Italia e per l’Europa: anche lui ha sempre creduto in me e in Scratch, al punto di spronarmi a proseguire laddove la contingenza (e le mie ridotte forze) mi dicevano, invece, di desistere.
Oggi, Miriana, Lorenzo e io non siamo più solo amici e compagni di sventure, ma siamo anche i soci fondatori dell’associazione culturale Another Scratch In The Wall. Una mezza cazzata ai vostri occhi, ma un grande, soddisfacente passo per chi, come me, ha visto questa cosa nacere. Non solo da zero, ma anche a caso e completamente contro voglia. D’ora in avanti la strada è tutta in salita e nessuno può dirci se sarà un fallimento o un successo. Di sicuro, è una figata unica.