Ci eravamo lasciati l’anno scorso, salutandoci dopo una lunga telefonata fatta in piazzale Lagosta. E non molto distante da lì, alla Key Gallery di via Borsieri, ci siamo ritrovati, un anno dopo, qualche giorno fa: cambiati, cresciuti, di certo con tante novità, Manu Invisible e io ci siamo riabbracciati e, sotto l’egida di Consiglia, ci siamo raccontati (tra le varie cose) la nuova mostra “Memories”, dal 19 ottobre al 17 novembre.
Una mostra che, attraverso l’impiego di supporti e dimensioni adatti a una galleria, trasporta alla Key Gallery le opere che Manu Invisible ha realizzato negli ultimi 2 anni per strada, nei sottopassi e al di sotto dei cavalcavia autostradali milanesi per la maggior parte. Non è un caso che l’esposizione, già a partire dal titolo, identifichi i più recenti ricordi dell’artista, in un corpus di opere che ben si adattano all’ambiente in cui queste vengono calate: tele, teche in plexiglass che contengono materiale di recupero, legno trattato con la tecnica a fumo e 3 delle sue gloriose maschere, quella classica e piena di calce (ricordo della prima volta di Manu con la tecnica dell’affresco, nell’aula magna dell’Università di Cagliari), quella in alluminio e quella in sughero (rimando, quest’ultimo, alla sua terra natale).
E i soggetti? “Dedizione”, “Resilienza” e “Perseveranza” sono solo alcune delle parole che appaiono sulle tele e sui supporti esposti nella mostra Memories, in una sorta di enciclopedia in miniatura che racconta i piccoli grandi gesti che ogni giorno siamo chiamati a compiere per (soprav)vivere nella nostra contemporaneità. “Lettering – mi racconta – per la maggior parte in italiano e spesso in inglese, realizzato sui muri senza l’uso di stencil con bombolette e scale e con particolare attenzione a parole sintetiche che hanno un certo tipo di valore sia per la società sia per le persone”. Quello che ne esce è un prodotto a cavallo tra Graffiti e Street Art che, tuttavia, nulla ha a che fare con la più recente poesia di strada. “Non è un discorso poetico – continua – ma è legato alla poetica dell’opera: possiamo definirla una poesia visiva, una sorta di propaganda con cui lancio messaggi forti in punti in cui passando tante persone. Le stesse che mi scrivono, ogni giorno, per ringraziami della forza che do loro (ma anche per insultarmi)”.
E con loro ti relazioni dal vivo? Sei un artista che ha fatto dell’uso della maschera un vero e proprio di riconoscimento. O, meglio, di non – riconoscimento. “Non ho contatti personali con queste persone – mi spiega – e, anzi, quando la notte lavoro, indosso sempre la maschera: questa nasce come metodo di tutela della mia vita privata e lavorativa, dopo che ho ricevuto una serie di denunce per imbrattamento a Milano e a Cagliari. La uso sempre anche nei video e ti posso dire che la indosserò anche durante la mostra”.