“Ecco come Banksy mi ha cambiato la vita”. Intervista all’ingegnere-artista Massimo Mion

di anotherscratchinthewall

Può l’incontro, anche solo virtuale, con un grande artista cambiare la vita di un ingegnere? A giudicare dalla storia di Massimo Mion pare proprio di sì: durante una vita passata tra calcoli e trabattelli, l’arte di Banksy è entrata prepotentemente col suo carico emotivo e figurativo. Un’illuminazione, oltre che un libro, che hanno letteralmente stravolto l’ingegnere-artista Massimo Mion.

 Come nasce la tua passione per la Street Art? Cosa fai nella vita?
Nella vita faccio l’ingegnere e mi occupo della manutenzione del patrimonio immobiliare dell’Università di Venezia. L’interesse per la street art nasce dalla lettura, qualche anno fa, del libro “Wall and piece” di Banksy che è stato una vera rivelazione, soprattutto per quanto riguarda l’utilizzo artistico degli stencil.

Hai sempre lavorato con gli stencil o hai iniziato con altre tecniche?
Inizialmente mi sono dedicato alla fotografia ed alla pittura, ma gli stencil sono stati per me la molla che mi ha spinto ad eseguire lavori all’esterno, in luoghi pubblici. Non mi considero uno street artist in senso stretto. Innanzitutto perché è una passione da coltivare nel poco tempo libero, più che una attività artistica a tempo pieno. Secondariamente perché non mi interessa solo la “strada” in quanto la mia attenzione si rivolge anche alla pittura ed ad altre tipologie di lavori più complessi, con ricorso all’elettronica autocostruita ed all’illuminazione artificiale, come nel caso di Sindoni.

Dici di essere grande ammiratore di Banksy (e, in effetti, le tue opere lo ricordano molto): come mai ti piace così tanto?
Banksy, secondo me, rappresenta uno dei paradigmi dell’artista contemporaneo. Pur attraverso il ricorso a specifici meccanismi per la diffusione delle opere al grande pubblico, Banksy riesce sempre ad avere un punto di vista distaccato rispetto alla realtà in cui opera. Inoltre, al di là della fama mondiale che ha raggiunto, i suoi lavori sono sempre pregni di ironia e di critica (costruttiva) sia verso la società che verso il mercato dell’arte che, pure, lo ha consacrato. Banksy è quindi al tempo stesso all’interno e all’esterno dell’establishment e si giova proprio di questo suo doppio ruolo. Come fa un singolo individuo a scaricare una cabina telefonica in centro a Londra, dipingere il muro di Gaza, installare un intero parco divertimenti, intrattenere rapporti commerciali con una importate galleria di Bristol senza che nessuno abbia traccia di nulla? E’ ovviamente impossibile, se non supportato da una rete di collaboratori. Quindi, quando pensiamo a Banksy, dobbiamo immaginare qualcosa di più complesso ed articolato e, per questo, molto più interessante.

Mi parlavi di alcune stranezze che hai riscontrato con Banksy nella sua guerra contro Robbo, cui è seguita una chiacchierata coi suoi collaboratori ma dalla quale non sei venuto a capo di nulla: di cosa si è trattato?
Non è nulla di che, ma mi ha fatto riflettere sul modus operandi di Banksy nei confronti del pubblico. Quella che aveva la parvenza di una guerra tra writer potrebbe essere un artificio concordato tra i due allo scopo di pubblicizzarsi l’un altro. Ho infatti notato un particolare nella “guerra” che nemmeno i fedelissimi di Bansky hanno saputo spiegarmi e che a quanto pare nessuno ha notato. Inizialmente la vicenda è apparsa sul sito ufficiale di Banksy (ricordiamo che lui non ha né Facebook né Twitter né altro) quando ancora la mail ufficiale del sito era pestcontroldept@banksy.co.uk (in riferimento ai topi da lui disegnati). Ora tali immagini sono sparite dal sito ufficiale ma si trovano ancora online. Ed è a questo punto che mi sono accorto di una cosa strana: queste immagini lasciano intendere che a dicembre 2011 la crew di Robbo avesse riportato il graffito allo stato originario. Ciò però pone almeno un paio di problemi:
1) non si tratta del graffito originale perché la scritta INC è stata sostituita dalla scritta THINK (immagine 1 e 13)
2) si intravedono in basso le gambe dell’imbianchino per cui non sembra si possa trattare di un graffito bensì di un adesivo ricavato da una foto (immagine 13).
Ma allora quando è stato fotografato il murales di Robbo visto che quando il graffito originale era ancora intatto, l’imbianchino di Banksy non esisteva ancora? Se invece si trattasse di un graffito, visto che il muro era stato ridipinto di nero completamente in almeno due occasioni, come potevano esserci ancora le gambe dell’imbianchino sullo sfondo? Ho avuto uno scambio di mail con il Pest Control Dept. in cui alla fine non si è concluso nulla e a seguito della quale untale Dean ha rimandato tutto a Robbo che, come sappiamo nel frattempo ha portato il segreto con sé. E’ chiaro che il Team Robbo ha usato, per stampare il graffito, una riproduzione fotografica in cui solo per errore si vedono le gambe, molto probabilmente perché l’intera sequenza dei disegni era stata programmata da tempo e messa successivamente in pratica come da accordi.

Come lavori abitualmente? Intendo, che materiali usi, come realizzi i tuoi stencil, come scegli una murata.
Normalmente la scelta della location e del soggetto dipendono dalle specifiche occasioni che si presentano. Nel caso di opere legali molto dipende dal fatto che il committente lasci abbastanza libertà nella rappresentazione e nel messaggio sotteso. Non sono particolarmente convinto che il significato dell’opera cambi necessariamente solo perché si trova per strada piuttosto che all’interno di uno spazio confinato. Quello che cambia è invece, in molti casi, il rapporto con il pubblico. Questo fatto può essere un po’ limitante perché, parliamoci chiaro, quando esistono uno spazio legale e un committente è difficile che l’artista sia davvero libero di interpretare il proprio pensiero in maniera completamente libera. Un’amministrazione pubblica cerca sempre temi tiepidi e politicamente corretti. E’ nella natura delle cose. E’ però anche vero che la maggior parte dei lavori illegali vengono realizzati su spazi marginali e, dunque, anche in questo caso ci si trova di fronte a limitazioni non indifferenti in termini di pubblico raggiungibile. In questo senso internet ha colmato un po’ il gap per la diffusione dei lavori. Senza internet che pubblico avrebbe potuto avere la guerra tra Banksy e Robbo tenuto conto che tutti i lavori sono stati realizzati in un cunicolo difficilmente accessibile al pubblico?

Hai fatto molti lavori “legali” o su commissione: credi che il mondo della Street Art possa (o debba) sposare la legalità?
Questo è un argomento interessante e, negli ultimi tempi, la street art in genere si sta trasformando in una sorta di strumento per abbellire grandi superfici. Il rischio è che tutto diventi un mero esercizio di stile, una sorta di manierismo edilizio. I più bei lavori che ho visto sono, invece, piccoli cammei dispersi qua e là. La qualità nella decorazione di grandi superfici pubbliche, come per ogni opera, sta un po’ al rapporto diretto tra artista e committente. Fa parte del gioco: ci sono un sacco di lavori scadenti per le strade come ci sono un sacco di lavori scadenti nei musei di tutto il mondo.

Quali sono stati i tuoi ultimi lavori?
I miei ultimi lavori sono dei murales legali realizzati sulla base di un disegno che ho preparato per commemorare il compleanno della studiosa Jane Goodall. Ne ho fatto uno ad Osnago ed uno a Milano.

Quali progetti hai per il futuro?
Progetti per il futuro? Avere tempo da dedicare all’arte. P.S. Se hai notizia di qualche muro interessante…

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