Un vinile, “Up Rock”, che è un vero spartiacque, e, in copertina, un graffito del 1984. Inizia così la mia chiacchierata con uno dei pionieri del movimento dei Graffiti e dell’Urban Art, Doze Green. Classe 1964, Doze, con la sua vita da vero b-boy, rappresenta l’essenza della cultura Hip Hop grazie alle sue frequentazioni con writer come Rammellzee, artisti come Andy Warhol, breaker come Crazy Lags. Oggi, a 52 anni, il writer ha raggiunto quello che lui stesso ha definito il suo “mid point”: lo espone alla mostra “Limbo” con cui la galleria Wunderkammern di Milano, dal 28 settembre al 2 novembre, riapre la stagione artistica.
Quando e perché hai iniziato a fare i graffiti?
Ho iniziato a fare graffiti nel 1974: avevo 10 anni, quasi 11, e ho iniziato facendo un sacco di tag nel mio quartiere, nella metropolitana ..
Qual era la tua tag?
Oh mio Dio, ne ho avute così tante! Sai, quando inizi a praticare, quando sei ancora un toy, disegni sempre quelle lettere con le quali ti senti più a tuo agio: per esempio, fai una “Z” e pensi “Mi piace quella lettera per la sua forma e per come gira”. Per questo mi taggavo come Cona, come.. ho taggato così tanto che ho dimenticato i nomi, ho scritto Gee, Su, tanti nomi diversi finché sono arrivato a Doze. Doze l’ho raggiunto al seventh o eighth grade (tra i 12 e i 14 anni, ndr) perché mi piaceva molto il flow delle lettere, mi piaceva molto disegnare la “Z”, era come.. FFSHHH, come Zorro! Così ho iniziato a scrivere per le strade di New York, Manhattan, e quando ho preso coraggio anche nelle metropolitane. Poi ho iniziato con i tunnel, all’epoca uscivo con dei ragazzi grandi, quindi forse avevo 13 anni quando ho fatto la mia prima yard, disegnando con questa crew chiamata “The rebels”, con Zephyr, Maki, Rasta e altri. Da quel momento ho preso la palla al balzo, ero sempre nelle yard, nei tunnel, era come una dipendenza. E allo stesso tempo ballavo: i graffiti, però, sono sempre venuti prima, e credo che questo valga per la maggior parte dei b-boys e la maggior parte delle persone provenienti dalla cultura di NY. I graffiti venivano prima di tutto. Certo, c’erano i ballerini nel Bronx e a Manhattan, Uptown, ma in realtà è stata un’attività che è diventata popolare alla fine degli anni Settanta. Negli anni Sessanta e nei primi anni Settanta esistevano già i b-boys, ma ora sono tutti DJ e rapper, quindi noi siamo la seconda generazione dell’Hip Hop.
In quale quartiere di NY succedeva tutto questo?
Washington High Side e Upper Westside, che è il quartiere da cui vengo. Washington High è davanti allo Yankee Stadium, camminando lungo la collina si è subito nel Bronx, nel South Bronx, ed è lì che ho conosciuto l’Hip Hop: mio cugino che ci viveva ha iniziato a portarmi alle jam e mi sono detto “Merda!”. Era un vero cambiamento perché all’epoca tutti andavano in discoteca, tutto era incentrato, sai, sul ballo, sul caos, e non c’erano ancora molti b-boys, noi eravamo solo dei kids e, come tutti i kids fanno, ci siamo detti: “Sai cosa? Noi cambieremo tutto questo! “. Ed è per questo che l’Hip Hop è maturato in un tipo di spirito più interattivo con il pubblico e anche noi eravamo tipo “B-boys, make some noise!” e tutti ballavano per terra e.. yeee!! Sai, era una grande cosa organica che nasceva da quella cultura così vergine. Poi abbiamo incontrato Downtown, naturalmente, abbiamo incontrato Henry Chalfant, Martha Cooper e questo è il motivo per cui ho incontrato anche Keith Haring e Basquiat e tutti i membri della Soho crew. Da allora ho iniziato a uscire con loro, smettendo di ballare intorno al 1984 con la Rock Steady Crew: nel 1984 il mondo era ormai stato del tutto commercializzato e quando vedo questo (punta il disco, ndr), questa, più o meno, è stata la fine della Rock Steady Crew come un gruppo. E così sono stato accettato nella School of Visual Arts di NY, che ho frequentato forse per due settimane. Sono andato da un amico, Antonio Lopez, famoso illustratore di moda a NY, dal quale ho incontrato Andy Warhol e tutta la Downtown crew, con la quale uscivo spesso. Ma lui mi ha dato un suggerimento, mi ha detto: “Sai? Non voglio andare scuola “. Odiavo la scuola, odiavo tutti quelli che si vestivano come i professori in università, sembravano tutti insegnanti e io non volevo stare con loro, volevo dipingere e imparare in fretta. E quindi esci con gli artisti, vai in studio con gli artisti, esci a prendere qualche birra, sniffa cocaina, drogati!
Cosa hai pensato quando l’arte dei graffiti è esplosa in tutto il mondo? Voglio dire, li hai inventati tu stesso..
Non ho inventato i graffiti, ovviamente, ma il mio stile, il mio nuovo stile, sì.. beh, prima non avevo veramente idea di cosa stesse succedendo a quel tempo: a metà degli anni ’80 ero un senzatetto, tossicodipendente e vivevo in periferia facendo squadding, e i miei unici obiettivo erano quelli di dipingere e sopravvivere. In questo modo percepivo il mondo esterno come se fossi in una bolla, ero abbastanza chiuso, ma quando sono uscito e sono tornato ho pensato tipo: “Merda, wow! Non mi aspettavo nulla di tutto questo! “. Non credo che nessuno ci abbia mai veramente pensato, sai? A NY c’è stato un pellegrinaggio: da una parte Bando, Toxic e A-one, dall’altro il passaggio alla West Coast. E io sono andato in California.
Da quel momento quel è stata l’evoluzione del tuo stile?
Ho deposto la bomboletta spray e sono andato verso un lavoro di fusione tra lo spray e il pennello, sono passato all’acrilico, poi all’olio, secondo diversi media. Questo è stato il modo in cui ho voluto ampliare le mie capacità tecniche. Era così quando uscivo con un sacco di pittori che usavano diverse tecniche. Io, sai.. Ho dovuto imparare a.. Sai, se avessi voluto fare un pittore avrei dovuto imparare la tecnica e l’alchimia di come funzionano le cose insieme, hai presente? Per molti anni ho conosciuto diversi artisti e i loro assistenti.. Sì, dovevo “solo” ricreare il mio stile. E per me è stato molto difficile perché ho dovuto lasciare la crew, lasciare New York e andare dove non avevo nessuno, ero in California da solo, e ho dovuto ripensare e ricreare me stesso e la mia personalità. Poi c’era Crazy Legs che era il king di tutti i b-boys del tempo e si sa, i Rock Steady era una crew molto ristretta e sapevo che se avessi continuato con loro avrei ballato per sempre, ma io non volevo più ballare, era una parte della mia life schooling davvero totalizzante: ho fatto il deejay, ho fatto il breaker, ho fatto i graffiti, ho fatto l’MC, sono cose che tutti i b-boys fanno perché si prova ogni aspetto. Certo, non ero il miglior b-boy, ero bravino, ho fatto ridere la gente, sono stato divertente, ma il mio punto di forza era nella mia arte.
Quanto tempo ci hai messo per arrivare al tuo stile? Molti giovani non capiscono che per raggiungere un certo livello non bisogna avere fretta..
Secondo me si comportano così perché i genitori li hanno cresciuti come se fossero i bambini più importanti del mondo! E’ importante far capire loro c’è bisogno di tempo: ho fatto questa cosa per 35 anni e sto emergendo solo ora! Credo che tutta questa sete di fama sia causata dai nuovi media: nell’Hip Hop ci sono i maestri, devi studiare per essere accettato dai maestri. Proprio come me che ho come maestri Rammellzee e Chain 3, poi ci sono Keith Haring e Basquiat per l’ispirazione: Haring era un pazzo e stavo tutto il tempo nel suo studio a Los Angeles a guardare come, con i suoi assistenti, lavorava a dieci dipinti.. sembrava una macchina. Io non voglio essere una macchina, ma quando ho visto quello che stava facendo ho pensato: “Questa è dedizione”.
Profondità di pensiero, questa, che si ritrova in quello che dipingi oggi
Il modo in cui sono nascono questi dipinti (indica quelli in mostra, ndr) è una specie di stream of consciousness, è come il jazz quando improvvisa. In tutti i dipinti che vedi non faccio altro che spruzzare l’acqua sull’inchiostro e giocarci. Stendo un po’ di vernice e vedo come si può evolvere l’opera. E’ così che vedo il mondo metafisico, il mondo invisibile, in un mix di pensiero, spirito, corpo, dove giocano un ruolo importante la Cabala e i libri antichi. Ho studiato la metafisica, la fisica quantistica, la realtà soprannaturale, ho avuto un mentore che era un alchimista: voglio essere indipendente in quello che faccio, ho una vita molto riservata, ho una fattoria dove vivo molto tranquillo.. Sono arrivato al mio mid point, alla metà della mia bella carriera quando, poco dopo i cinquanta, posso dire di essere emerso. Sai, quando si è giovani si è molto pazzi e non si ha mai il tempo di investire nella propria carriera così seriamente come io lo faccio ora. E’ stato più divertente e pazzo all’epoca, ma ora, lo sai, è molto bello essere più rispettati.
Dimmi qualcosa di “Limbo”
Limbo è un luogo tra i luoghi, è il luogo prima del movimento. Prima della vita esplosiva c’è un luogo di riposo e retrospettiva, un punto da cui guardare indietro, sedersi e poi guardare in avanti. E’ difficile da spiegare. Limbo è nato anche pensando agli amici che ho perso: quest’anno ne sono morti sei per suicidio, droga, malattia, tutto. Quindi per me è stato un anno molto duro anche perché hanno lasciato figli, mogli, una carriera appena agli inizi o.. Sai, mi rattristo molto a pensare che forse stanno in un posto che non è liberatorio, che sta tra la luce e il buio, dentro a una tomba. Molti di questi dipinti riguardano proprio il Limbo, quella situazione di stallo prima che il b-boy esploda, prima della battle, il lato opposto della strada dell’arte, la tragedia.
Credi in Dio?
Fonte creatrice. Non lo chiamo Dio, lo chiamo energia. Non credo in nessuna religione. Riconosco filosofie come lo Zen e il buddismo, ma non Dio o gli dei. E’ energia, energie.
Cosa ne pensi di Milano?
Amo Milano, la prima volta che ci sono venuto era il 1983, quando siamo abbiamo ballato di fronte al Duomo, in tv. E poi ho partecipato alla mostra “Urban Edge Show”, la prima mostra che, nel 2005, ha portato la Street Art a Milano con Blu, Microbo, Matteo Donini. E ‘stato un grande spettacolo e mi sono divertito tantissimo. E credo che quello sia stato l’inizio della rivoluzione di Milano: Blu era .. POWW !! E ‘un peccato che non dipinga più..
Sai cosa gli è successo a Bologna?
Sì, lo so, ed è orribile. Stiamo facendo un film sulla .. beh, non sono un fan di Banksy (anche se mi piace Belk) ma stavamo discutendo di questo fatto e siamo giunti alla conclusione che il curatore della mostra abbia rubato l’arte dalle pareti di Bologna guadagnandoci 2,5 milioni. Questo non mi piace, l’arte pubblica è per la gente, è per tutti.
Cosa ne pensi della sua decisione di coprire la sua arte?
Penso che abbia fatto bene e forse avrei fatto lo stesso. Sì, perché è arte per la gente, la natura di graffiti e della Street Art è quella di essere un operato per il popolo, per il pubblico, non per privati e la privatizzazione. io, forse, avrei crossato con delle enormi “Z” i miei pezzi! Vaffanculo, è una stronzata, e ho pure sentito che ora Blu nondipinge più quanto prima: immagino sia rimasto molto scoraggiato da quanto gli è successo.. ma potrebbe andare in Marocco, in Africa o da qualche altra parte per ricominciare a fare arte e permettere alle persone di poterne godere di nuovo.