C’è chi dice panta rei e chi replica che cambiare fa schifo, o è sintomo di poca coerenza.
Nonostante l’ovvietà della frase, continuo a incontrare persone che spacciandosi per colte estimatrici del mio lavoro passato, riescono a uscirsene con frasi del tipo: “Negli anni 80 facevi certe cose… Sarebbe bello se tornassi a rifarle”. Insomma, tutto dovrebbe evolversi tranne me, e io dovrei comportarmi come se avessi ancora diciassette anni? Anche volendo, sarebbe impossibile. Eppure ogni tanto incontro ancora qualcuno capace di auspicarlo in modo sincero.
Una cosa simile accadde nel 1990. A un certo punto capii che misurarmi con la realizzazione di graffiti di grosse dimensioni era l’unico modo per continuare a crescere come writer, nonostante molti dei miei amici pensassero che il mio fosse un azzardo destinato a fallire. Mi sentii dire che era meglio continuare a dipingere come stavo facendo. Cambiare era troppo rischioso, e un fallimento, avrebbe fatto di me lo zimbello di tutti. Per fortuna non li ascoltai, e con tutto il senso di umiltà e determinazione di cui ero capace, realizzai opere di cui vado ancora fiero.
Oggi, vedo nell’estendere il proprio lavoro a superfici diverse dal muro un atto di rinnovata maturità. Progettare non una, ma una serie di opere da esporre (in una mostra, per esempio) obbliga l’artista ad adottare uno schema di ragionamento diverso da quello che solitamente si usa nel realizzare una serie di graffiti. Ogni opera deve funzionare sia singolarmente sia come parte di una visione più ampia, che essendo mostrata in un unico evento deve apparire credibile. In quanti non capiscono ancora che un singolo lavoro ben fatto può essere solo un evento fortuito? Costruire un proprio alfabeto espressivo rende credibili, per questo penso che per capire il valore di un individuo che aspira a definirsi tale sia indispensabile osservare una produzione di almeno quindici opere. Ho visto ragazzi che in buona fede si credono artisti per il solo fatto di essere riusciti a esporre sempre lo stesso lavoro, o varianti dello stesso, senza un minimo accenno di crescita, in mille mostre collettive. E la cosa più brutta è che nessuno sembra in grado di farglielo notare.