Chi l’ha detto che il mondo delle gallerie è in crisi? Figuriamoci se a essere tirate in causa sono quelle che si occupano di street art (materia, questa, che secondo i bilanci di Artcurial ha fatto incassare alla nota casa d’aste 3,6 milioni di euro nel 20015, il 60% in più rispetto al 2014). Prova ne è che proprio stasera, alle 18.30, inaugura la prima sede milanese di Wunderkammern, una tra le più importanti realtà d’Italia che ha aperto la sua prima galleria a Roma nel 2008.
Per farlo (e bene) Wunderkammern Milano (via Ausonio 1/A) ha deciso di chiamare a esporre una pietra miliare della street art, il primo vero sperimentatore dello stencil nonché “padre spirituale” di Banksy: Blek Le Rat, al secolo Xavier Prou. Il francese 64enne espone per la prima volta nella sua vita a Milano, e lo fa con una mostra intitolata “Propaganda”. Noi di Grafite HB abbiamo avuto l’onore di intervistarlo e di registrare la sua intervista in un video: l’emozione è stata talmente grande che alla fine ci siamo buttati. E gli abbiamo proposto di tesserarsi all’associazione. Ebbene, da oggi anche Blek Le Rat fa parte della nostra associazione culturale Grafite HB: e voi, che aspettate a farlo? Mentre ci pensate leggetevi la nostra intervista a Blek Le Rat..
Dove e quando nasce la tua passione per gli stencil?
Molto tempo fa! Nel 1981 ho iniziato a fare graffiti a Parigi. All’inizio cercavo di imitare graffiti e tag americani, ma non ero granchè capace, così ho deciso di fare stencil perché ne conoscevo già la tecnica. Beh, è una lunga storia: in realtà conoscevo la tecnica perché nei primi anni Sessanta, quando avevo 10 o 11 anni, avevo visto alcuni stencil realizzati in Italia, a Padova: vi ero giunto con i miei genitori e lì avevo visto uno stencil della Seconda guerra mondiale, una sorta di propaganda fatta dai fascisti che ritraeva il volto di profilo di Mussolini con l’elmetto in testa. Così ho subito chiesto a mio padre: “Perché l’hanno fatto? Che cosa significa?”, e mio padre non solo mi ha spiegato che era propaganda fatta dai fascisti ma mi ha anche raccontato la tecnica, l’uso, in quanto era piuttosto raro trovare pezzi come quello. Successivamente ho fatto un viaggio a New York nel 1971 e ho visto il primo graffito fatto nella metropolitana: così tutte queste cose combinate insieme mi hanno portato a fare i primi topi a stencil per le vie di Parigi.
Quindi possiamo dire che sei il padre della stencil art?
Sì, lo sono. Non sono il padre della street art, ma sono il padre della stencil art. Nessuno a quell’epoca voleva fare arte di strada, a Parigi c’erano solo due ragazzi che avevano a fare graffiti iniziato nei primi anni Settanta: un di loro si chiama Zloty Camion e disegnava con il gesso (penso che abbia iniziato molto presto, tipo nel 1963), mentre l’altro si chiama Ernets Pignon Ernest e incollava poster. Io ro il terzo che a Parigi faceva graffiti.
Forse li puoi trovare in questo libro.. (Paris Graffiti di Joerg Huber, settembre 1986)
Sì, ma qui non hanno messo il mio nome! È davvero strano che si trovi ancora questo libro perché è un libro molto vecchio e il mio lavoro è qui, ma l’autore non ha messo il mio nome! In realtà non mi piace molto questo libro perché il ragazzo tedesco che l’ha fatto non ha realizzato un lavoro completo.
Come prepari i tuoi stencil?
È un processo lungo ed è cambiato molto negli ultimi 15 anni, perché ora uso il computer. Però ho iniziato disegnando lo stencil e tagliandolo, una tecnica molto semplice che permette di essere veloci, lavorare celermente quando sei in strada: è necessario perché, sai, la polizia, le persone.. lo stencil è così: un’ottima tecnica per andare veloci e ottenere una bella immagine assieme.
Sei stato anche arrestato, una volta, a Parigi..
Molte volte, non solo una!
E ho letto che hai cambiato il tuo stile per questo motivo..
Già, l’ho fatto quando sono finito in tribunale. Sono stato arrestato più volte a Parigi, ma una volta è stata la peggiore: quando, nel 1990, sono andato in tribunale. È stata una cosa frustrante, sai, prendere un avvocato, attendere i vari rinvii a giudizio, ogni volta mi dicevano “Non abbiamo abbastanza prove e abbiamo bisogno di maggiori informazioni per accertarti che cosa stessi facendo quel giorno”: così, di tre mesi in tre mesi. Dopo un anno hanno deciso di farmi pagare 20 Dollari, un nulla, di farmi ripulire il muro e infine farmi fare le foto del muro tirato a lustro.
E ora di mostrare le vernici in galleria: questa cosa è abbastanza buffa!
Sì, ma non è l mia prima esibizione in galleria..
Quando hai iniziato?
La mia prima mostra l’ho fatta in gruppo nel 1984, credo. Era successo a Parigi: qui un ragazzo aveva messo un annuncio sul giornale chiedendo “Chi è il ragazzo che fa i graffiti a Parigi?”. Questo perché nel 1984 alcuni artisti stavano lavorando a Parigi: c’erano, per esempio, un ragazzo chiamato Jérôme Mesnager, che faceva lettering in bianco. Così abbiamo allestito una mostra collettiva con alcune persone che facevano graffiti, come, appunto, Jérôme Mesnager, ma anche VLP, Speedy Graffito.
Vuol dire che quando hai iniziato eri in una crew? O lavoravi da solo?
No, ero con un mio amico: abbiamo iniziato insieme per tre mesi, il suo nome era Gerard, ma dopo tre mesi la moglie rimase incinta e da quel momento gli chiese di non andare più in strada. E così ho continuato da solo.
Che ci dici della mostra “Propaganda”, che inaugura il 20 gennaio a Wunderkammern Milano?
In realtà è la mia prima mostra in Italia, quindi è una specie di sconsacrazione di questo territorio, cosa che mi rende felice. La mostra è sul tema della propaganda, non solo perché il primo graffito che ho visto altro non era che propaganda politica fatta dai fascisti, ma anche perchè il mio lavoro è una specie di una propaganda. Beh, non è una specie, è propaganda a tutti gli effetti, perché quando lascio un’immagine per strada so che il giorno dopo migliaia e migliaia di persone vedranno il mio lavoro. È propaganda che faccio a me stesso. Questa propaganda, poi, mi lega con i dipinti italiani: sono stato molto influenzato in tutta la mia vita dall’arte in Italia, come del resto è accaduto alla maggior parte degli artisti al mondo: le rovine romane, Pomepi, ma anche Caravaggio e tutto il periodo Rinascimento. E penso che la street art stessa è una sorta di Rinascimento dell’arte dopo l’arte concettuale, che è la morte dell’arte.
Come mi?
Non sopporto nulla dell’arte concettuale, non sono mai stato interessato perché credo che tocchi solo le persone che hanno studiato molto, le élite, già a partire dagli anni Settanta. Mi piace Marcel Duchamp perché è stato uno dei primi e mi riconosco nel suo lavoro, ma ora, sai, quando vedo la gente che fa cose strane, tira fili a cui appendere strane cose.. io non lo so, non capisco! Cosa vorresti dire? C’è una ragione, un motivo, ne sono sicuro, ma non mi interessa affatto capirlo.
D’altra parte l’arte di strada è molto diversa: se l’arte concettuale parla a un piccolo gruppo di persone, con la street art no, è il contrario..
Assolutamente. È una specie di democratizzazione dell’arte perché il pubblico è globale.
Cosa pensi della street art di oggi?
Penso che stiamo ancora vivendo il vero inizio della street art: il genere è iniziato più di 40 anni fa a Filadelfia e New York, ma credo davvero che stiamo ancora vivendo l’inizio di questo movimento. Tra 20 anni sarà assai più sviluppata, ne sono sicuro, perché per un artista è molto importante essere visto da più persone possibili e quando lasci qualcosa per strada, come ti ho detto prima, quando si lascia un’immagine in strada sai che il giorno dopo migliaia e migliaia di persone vedranno il tuo lavoro. Di sicuro cambieranno le tecniche, ci sarà molta digitalizzazione.. non so come mi finirà, non conosco quale sarà la sua evoluzione, ma sono assolutamente sicuro che sarà l’arte del XXI secolo.
C’è un artista che si preferisce più di altri? A parte Banksy..
Mi piace Banksy, ma amo Mark Jenkins, che ha già lavorato in questa galleria (ma non è un motivo per cui lo amo, io lo amavo già prima che entrasse in Wunderkammern, mi piacciono molto le sue opere, è davvero bravo), mi piace un ragazzo chiamato Slinkachu, un ragazzo britannico, mi piace Shepard Fairey, mi piace Swoon, mi piace molto Swoon, mi piacciono molti artisti.
Alcuni italiani?
Sì, Stan & Lex per esempio. Sono un gruppo di persone, giusto? Sì, sono due, non li ho mai incontrato ma mi piace molto il loro lavoro.
Hai mai sentito parlare di Blu?
Sì, ho fatto una mostra con lui a New York, alla Jonathan Levine Gallery. Sì, mi piace il suo lavoro.
Ti ho chiesto di Blu perché in realtà qualcosa sta succedendo anche a lui a Bologna: alcuni critici hanno deciso di rimuovere un sacco di dipinti di Blu (e alcuni di altri artisti come Ericailcane, Alicè) per metterli in un museo.
Ok, perché no?
Come mai?
Perché la street art è un lavoro effimero, non sta in piedi per lungo tempo se sta in strada. Quindi dobbiamo mantenere la memoria di ciò che è accaduto in strada. Credo che sia molto importante, perché per esempio non abbiamo nulla sugli anni Sessanta e Settanta a New York, se non fosse per qualche foto. Penso che sia molto importante mantenere la memoria, io non sono contro.
Non basterebbe fare una foto dei pezzi?
Non basta. Sai, abbiamo bisogno di qualcosa di materiale. No, davvero, io non sono contro questo tipo di attività. Inizio a essere un po’ contro quando quei pezzi sono rivenduti, in quel caso non mi piace. Ma se i pezzi vanno in un museo è bellissimo.
Ma quello che non ti ho detto è che queste persone non hanno chiesto nulla a Blu, Ericailcane. Non hanno chiesto loro “Sei d’accordo?”
No, allora in questo caso non va bene, perché bastava chiedere e sono sicuro che Blu avrebbe risposto di sì, in fondo si tratta di mettere le sue opere in un museo! Non avrebbee potuto dire di no..
O forse sì, perché se si vuole entrare in un museo si deve pagare un biglietto..
Già.. ok è un stato errore da parte del museo non chiedere nulla. Ma in fondo non è così importante. Sono sicuro che Blu è molto felice di questo progetto, io stesso lo sarei.
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[…] in Italia ma che avrebbe detto la sua. In attesa di tale posizione, mi sono rivolta oltre che a Blek Le Rat anche a due “mostri sacri” di Milano, KayOne e Ozmo: “L’opera di un Graffiti Writer o di […]